Nonostante le grida d'allarme e gli appelli, nel silenzio generale la Direzione nazionale antimafia sta lentamente perdendo un patrimonio di informazioni essenziali per le indagini contro la criminalità organizzata e il terrorismo.
Da quasi due anni, cioè dall'entrata in vigore della riforma delle intercettazioni - era settembre del 2020 - quelle svolte nell'ambito delle inchieste delle singole direzioni distrettuali antimafia (Dda) non stanno più confluendo nella banca dati della Direzione nazionale. Questo perché la riforma delle intercettazioni prevede il travaso di tutti gli audio nell'archivio digitale di ogni Procura, con l'eliminazione di quelli non rilevanti. Non c'è una norma che preveda un'eccezione per le banche dati antimafia.
La banca dati è sempre stata un tesoro informativo fondamentale non solo nell'attività di coordinamento che svolge la stessa direzione nazionale, ma anche per le attività delle singole Dda sul territorio. È uno dei paradossi a cui il ministero della Giustizia non ha ancora posto rimedio, nonostante le ripetute richieste inviate anche dall'ex procuratore nazionale Federico Cafiero De Raho, che ha da poco terminato l'incarico. La riforma, con l'obiettivo della tutela della segretezza delle conversazioni, si è trasformata in un boomerang burocratico. Un pasticcio. La nuova disciplina prevede che ciascuna Dda abbia il proprio archivio digitale in cui riversa le intercettazioni, e che il responsabile della segretezza sia il procuratore della Repubblica. Tutte le conversazioni non rilevanti emerse nell'ambito di un procedimento finiscono lì dentro e vengono distrutte, senza prima essere trasmesse alla banca dati della Dna. Un «danno rilevante», lo aveva già definito lo stesso De Raho chiedendo un intervento urgente al ministero, perché il circuito giudiziario antimafia si fonda proprio sulla conoscenza e sulla circolazione delle informazioni. Cioè in gioco c'è lo stesso ruolo della direzione nazionale, che svolge da collegamento investigativo, mette in comunicazione le informazioni che arrivano dai vari uffici sui territori per fare in modo che altri a loro volta possano approfondire filoni investigativi. Il paradosso è che se la legge prevede che si possano usare le conversazioni anche in procedimenti penali diversi purché siano indispensabili per l'accertamento dei reati, ora nel circuito giudiziario quelle conversazioni non arrivano più, «nemmeno si può dire se sono più o meno utili, perché vengono riversate solo quelle ritenute rilevanti nell'ambito del procedimento in cui sono state disposte», viene sottolineato da chi è vicino al dossier: «Tutte le altre considerate non rilevanti vengono distrutte e nessuno più saprà cosa c'era in quelle interlocuzioni. Ma magari per il procedimento in cui sono state fatte possono essere non rilevanti ma per altre indagini sì. Questo crea un grave danno per il circuito informativo giudiziario antimafia, se pensiamo che la banca dati contiene elementi delle indagini fin dal 1993, ma dal settembre 2020 c'è stato un grave stop». Si parla di reati di mafia e terrorismo, in cui «elementi che risultano dalle intercettazioni si rivelano spesso necessari anche a distanza di anni».
Cafiero De Raho prima di lasciare via Giulia aveva posto il problema non solo al governo e al ministero, ma anche a livello europeo. Chiedeva di trovare un sistema che garantisse sia la conservazione dei dati che la riservatezza delle persone.
La proposta era di creare una custodia europea dei dati, istituendo un organismo sovranazionale che di volta in volta possa autorizzare l'uso delle intercettazioni, ma solo in caso di reati come stragi, omicidi di mafia e terrorismo. Tutto rimasto lettera morta, dal ministero nessuna risposta.
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