Dal ruolo strategico delle piccole banche, alla speculazione finanziaria che ha causato il crollo delle Borse, fino al nodo del debito pubblico per l'Italia. Sono alcuni degli spunti emersi durante la seconda giornata del 127simo Consiglio nazionale della Fabi, la Federazione autonoma bancari italiani, che si conclude oggi a Milano.
Il confronto del primo pomeriggio sul futuro del banche - che ha visto protagonisti il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli e il presidente di Federcasse, Augusto Dell'Erba - ha toccato le ultime decisioni della Bce. Sileoni non crede che «i tassi di interesse più alti faranno crescere i prestiti a imprese e famiglie. Con le regole della Bce sempre più stringenti per quanto riguarda l'erogazione di nuovo credito, il ruolo delle banche di credito cooperativo e, in generale, di tutte le piccole banche locali in questo Paese è diventato determinante, fondamentale per il sostegno ai territori». Per il leader della Fabi, se non si salvaguarda il ruolo degli istituti più piccoli il rischio è che «tra pochi anni ci troveremo inquadrati in due o tre gruppi bancari che già monopolizzano il 70% del settore in Italia». Patuelli, invece, ha osservato come il calo delle Borse sia imputabile «alle vendite allo scoperto» e non tanto alla decisione della Bce di alzare il costo del denaro. «Dobbiamo essere consapevoli che i rialzi dello 0,25% e dello 0,25% prima di Natale annullano il tasso negativo e porta a zero i tassi delle banche», ha ricordato Patuelli. «L'Europa è l'ultima nell'Occidente a toccare i tassi». L'Italia ha avuto cali borsistici superiori a Francia, Germania e Gran Bretagna. «Noi a differenza di loro abbiamo un debito pubblico molto superiore, l'errore concettuale che è stato fatto e deve essere evitato è che l'Italia possa accumulare all'infinito un debito pubblico perché il debito pubblico non è un fatto positivo perché se uno si indebita troppo poi viene schiacciato», ha detto il numero uno dell'Abi.
Quanto alle banche, Sileoni ha detto che «In Italia, e nessuno ci credeva quando lo dicevo, di investimenti in nuove tecnologie da parte delle banche non ce ne sono stati, se non pochissimi» prima della pandemia. Il segretario ha parlato di amministratori delegati delle banche «ossessionati alla mattina di svegliarsi e di non trovarsi più» che hanno sfruttato il momento per «fare innovazioni tecnologiche, introdurle, spendere una barca di soldi, chiudere sportelli e accontentare la Bce». Ora però affrontano i problemi di una transizione così repentina: «Si ritrovano 8-10mila persone a seconda della grandezza del proprio gruppo che dovranno ricollocare. Questa sarà la cosa più complicata».
La tavola rotonda «La Guerra e il futuro dell'Occidente» ha visto invece tra gli ospiti il direttore de il Giornale, Augusto Minzolini accanto al vicedirettore Nicola Porro, che l'ha moderata: «Che ci sia una crisi da qui alla scadenza della legislatura non credo.
Il motivo è che aprire una crisi mentre è ancora in corso una guerra sarebbe una novità nella storia», ha sottolineato Minzolini. Che riguardo al futuro del premier, ha aggiunto: «Non credo che Draghi possa restare alla prossima legislatura, ma se alle prossime elezioni nessuno dei due schieramenti vince, può accadere di tutto».
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