La sentenza del Tribunale di Napoli, che decapita il vertice del M5S, rimette allo stesso tavolo Di Maio e Conte. Con Beppe Grillo al posto di capotavola, nel ruolo di mediatore. La «grande trattativa» non decolla. Il comico genovese impone il silenzio stampa (Conte si adegua e annulla la partecipazione a Porta a Porta).
L'Elevato teme pesanti conseguenze legali ed economiche dal verdetto napoletano e studia la via d'uscita. Conte e Di Maio sono più interessati alla partita politica. Il fronte dei «dimaiani» pone due condizioni per dare l'assenso al ritorno di Conte alla guida del Movimento: meno poteri al capo politico e via libera chiaro (da inserire nello statuto) al terzo mandato da parlamentare.
Su quest'ultimo punto, la fronda legata al ministro degli Esteri incassa l'appoggio anche di due contiani di ferro: Paola Taverna e Roberto Fico. Fanno notare i dimaiani «la vicepresidente del Senato Paola Taverna sta già ammorbidendo i toni contro Di Maio. Il suo unico pensiero è la rielezione. Togliete tutto alla Taverna. Ma non la sua poltrona», scherza un parlamentare vicino a Di Maio.
E dunque la trattativa si incardina su due punti: le due richieste che arrivano dal fronte dimaiano e che trovano una prima sponda in Grillo. Il Tribunale ha «cassato» lo Statuto scritto da Conte. Ora la pattuglia dei dimaiani vuole che il via libera al terzo mandato sia inserito nel nuovo statuto da sottoporre poi al voto degli iscritti. Seconda condizione: la collegialità. Tradotto: limitare i poteri del capo (Conte). La struttura, ipotizzata da Di Maio e Spadafora, è un vertice a tre: Grillo garante, Conte capo e cabina di regia. Il passaggio su cui si inceppa la trattativa è sui poteri da affidare alla cabina di regia. «Liste, voti di fiducia e alleanze», chiedono i dimaiani. No di Conte.
In pratica, nelle mani dell'avvocato di Volturara Appula rimarrebbe il potere di «comunicazione» della linea politica. La cabina di regia si trasformerebbe in una specie di direzione nazionale, cui spetterebbe il via libera finale sulle liste e su altre decisioni importanti. Tipo la facoltà di indire una nuova consultazione per eleggere il capo. L'obiettivo è costruire un «commissariamento» di fatto attorno al leader (Conte). Ma Grillo ragiona anche su un altro schema: nominare subito il comitato di garanzia. E poi far votare i cinque membri del Comitato direttivo così come deciso dagli iscritti agli Stati generali del 2020. Ma c'è un'altra opzione sul tavolo: un voto sul nuovo statuto, allargando la votazione agli iscritti con meno di sei mesi di anzianità, chiedendo dunque la ratifica delle delibere sospese in via provvisoria. Quest'ultima è la soluzione preferita da Conte. Le richieste dei dimaiani sono le due condizioni per deporre le armi e siglare la tregua.
Il compito di una mediazione spetta ora a Grillo che sembra, in questa fase, orientato a raccogliere le sollecitazioni del ministro grillino. Per Conte le condizioni poste da Di Maio vengono considerate «un prezzo troppo alto». Dopo due giorni di fuoco, con le interviste di Spadafora, Ciarambino e Iovino, Di Maio si inabissa. Il fondatore del Movimento avrebbe convocato nel fine settimana un pranzo a tre con Di Maio e Conte. Il vertice potrebbe essere allargato a Fico, Appendino, Raggi, Fraccaro, Patuanelli e Bonafede. Ma non c'è ancora alcuna conferma. E non si esclude che Grillo possa anticipare la riunione, scendendo già nelle prossime ore a Roma. Si muovono, nel frattempo, i parlamentari che ieri si sono riuniti in assemblea a Montecitorio. L'incontro ripropone il ballo di veline tra le due fazioni. Dal fronte contiano viene evidenziato «come il tono dell'assemblea sia stato molto critico rispetto alla decisione del Tribunale di Napoli».
Dalla truppa dimaniana si ribatte: «La sostanza dell'incontro è riassumibile - spiega una fonte - nel messaggio finale del
capogruppo, Davide Crippa, che riprende le parole di oggi del garante e co-fondatore: come ha detto Grillo bisogna aspettare e studiare la vicenda». Si distingue l'ex viceministro Stefano Buffagni che parla di «clima spiacevole».
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