Il Pd bombarda la manovra su pensioni e disoccupati

Letta incontra i sindacati e li asseconda su tutto. Ma è paralisi sulla riforma degli ammortizzatori

Il Pd bombarda la manovra su pensioni e disoccupati

Il cantiere della legge di Bilancio rischia di essere bombardato ancora prima che i lavori inizino a partire. Tutta colpa delle amministrative e dei ritardi ai quali viaggiano alcuni progetti di riforma. Ad esempio, quella della riforma degli ammortizzatori sociali che il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, sta gestendo non proprio a ritmo spedito. L'assegno di disoccupazione universale, che dovrebbe essere garantito anche alle microimprese con un solo dipendente, costa troppo (8-10 miliardi) e il ministro dell'Economia Franco è indisponibile a coprirne i costi a spese dell'erario. Il risultato è che in manovra si dovrà trovare la quadra partendo sempre dai fatidici 1,5 miliardi residuati dallo stop al cashback.

Palazzo Chigi (dove il consigliere economico del premier Draghi, Francesco Giavazzi, ha preso in mano le redini del dl delocalizzazioni) dovrà come al solito trovare la sintesi. Per non affaticare ulteriormente le imprese con un aumento delle aliquote contributive (Confindustria e Confcommercio sono da tempo sul «chi va là») si era pensato a una soluzione di compromesso sui 5 miliardi di euro circa che garantisse l'avvio della riforma in concomitanza con la Gol (Garanzia di occupabilità del lavoratore) per il quale il Pnrr prevede 4,4 miliardi.

Come detto, il problema sono le elezioni amministrative. La vittoria del Pd ha ringalluzzito il segretario Letta e la sua compagine di ministri. E così ieri il numero uno di Via del Nazareno si è sostituito al presidente del Consiglio e ai suoi ministri, incontrando Cgil, Cisl e Uil. Un modo per garantirsi un appoggio ai ballottaggi ma anche per «introiettare» la piattaforma rivendicativa dei rappresentanti dei lavoratori nel programma di governo. E, se Matteo Salvini «strappa» da una parte, anche la mossa di Letta non pare proprio destinata a trovare una sintesi. «Abbiamo posto il tema al Pd di sostenere la nostra richiesta di propagare il blocco dei licenziamenti fino a fine anno e di estendere la tutela degli ammortizzatori sociali» al settore dei servizi, del commercio e del turismo, ha dichiarato uscendo dall'incontro il segretario della Cgil, Maurizio Landini. Insomma, una richiesta non proprio «economica» perché l'ulteriore estensione di tutele particolari costerebbe circa un paio di miliardi. Non meno costose le pretese della Cisl. «Abbiamo chiesto - ha detto il segretario Luigi Sbarra - che sul tema delle pensioni si apra un vero confronto con il ministero del Lavoro e con il governo per assicurare flessibilità in uscita, allargando e rendendo strutturale l'Ape sociale, conquistando una pensione di garanzia per giovani e donne, incentivando l'adesione alla previdenza complementare, ripristinando la piena indicizzazione e rivalutazione delle pensioni». E anche qui si tratterebbe di mettere in campo almeno un altro paio di miliardi (se non qualcosa di più).

Per fortuna di Mario Draghi e di Daniele Franco i sindacati sul capitolo pensionistico marciano in ordine sparso, altrimenti il confronto sarebbe molto più difficile. La Cgil, come spiegato mercoledì in Parlamento dal segretario confederale Roberto Ghiselli, è favorevole a una flessibilità in uscita a 62 anni di età o con 41 anni di contributi, ossia chiede dai 4 ai 4,5 miliardi ogni anno per facilitare le uscite. La Cisl, invece, vuole un sostanziale potenziamento dell'Ape social, cioè l'uscita a 63 anni con almeno 20 di contributi allargando la platea dei lavori gravosi.

Tanto Letta quanto il sindacato stanno, però, fraintendendo lo spirito di quel Patto per l'Italia che Draghi aveva auspicato accogliendo l'invito del presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Lì si parlava di produttività qui di «lavorare meno lavorare tutti».

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