Nicola Zingaretti consegna un sì con alcune condizioni a Mario Draghi. Ora però teme per la sua poltrona e frena sul congresso. Stefano Bonaccini scalda i motori e prepara lo sfratto dal Nazareno per il presidente della Regione Lazio.
Il fronte pro-Bonaccini cresce: Lorenzo Guerini, i capigruppo di Camera Graziano Delrio e Senato, Andrea Marcucci, i sindaci Beppe Sala (Milano), Giorgio Gori (Bergamo), Dario Nardella (Firenze) vogliono un cambio di leadership nel Pd dopo il fallimento della trattativa sul Conte ter. Il congresso è dietro l'angolo. Anche Prodi incalza: «Un partito che non fa un congresso a livello popolare per tanti anni, perde ovviamente il rapporto con il popolo». Ma Zingaretti ingrana la retromarcia: «Io sono uno dei fondatori del Pd: pur in una dialettica politica, non ho memoria di un partito così unito come in questo momento. Ci sarà anche tempo, visto che è cambiato molto, di discutere e trovare il modo più utile di farlo. Il Pd ha grande futuro e grande prospettiva. Però chi riduce questa discussione all'assillo congressuale mi sembra un po' un marziano. Terrò sempre il Pd vicino alla vita delle persone». Timori che nascono dai movimenti di Bonaccini che punta a riunire tutta la fronda renziana tra i dem. Con un occhio alla poltrona, ieri Zingaretti ha incontrato con la delegazione dem, nel secondo giro di consultazioni, il premier incaricato. Il leader del Pd conferma «la piena disponibilità a sostenere un esecutivo guidato dall'ex numero uno della Bce». Ma si mostra tiepido sull'ingresso di Matteo Salvini: «Noi e la Lega rimaniamo forze alternative. Ma non facciamo veti a prescindere. Ci sarà un perimetro programmatico e questa è una valutazione che dovrà fare il professore nella sua autonomia». Nel documento consegnato nelle mani di Draghi rilancia tre battaglie: «È importante» tra le riforme quella «fiscale» con «pilastri indicati di progressività fiscale, rifiuto di proporre nuove tasse, rifiuto della cultura dei condoni come soluzione di questo tema che sarebbe sbagliata e attenzione alla fiscalità sul lavoro». E poi insiste su un punto: la clausola di supremazia Stato-regioni sulla sanità. Non si sbilancia sulla composizione del governo: «Confermo che il tipo di formula di governo è una ipotesi che il presidente incaricato dovrà formulare alla luce delle indicazioni del presidente della Repubblica e delle sue valutazioni. E dunque su questo ci rimettiamo alle valutazioni che farà il professor Draghi». Altra richiesta affidata a Draghi è la riforma elettorale: «Non è tema da inserire nel programma governo, ma c'è un equilibrio da ricostruire dopo il taglio dei parlamentari, perciò abbiamo annunciato al presidente la nostra volontà di affrontare questo tema in spirito di collaborazione». Ed infine il segretario del Pd prova a tenere in vita l'alleanza con i 5 Stelle: «È evidente che noi continuiamo a ritenere l'esistenza di questa rapporto molto, molto importante. Le alleanze si decidono sui territori. Noi rispetteremo l'autonomia dei territori.
Ma questo deve unirsi con una vocazione e uno spirito unitario perché così torneremo a vincere, ne sono convinto, in tanti comuni in cui si tornerà a votare alle amministrative». Ma ora ha la spina del congresso nel fianco.
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