Non si sa quando riapparirà e come, in che stato, con quali occhi tornerà a guardare il mondo. Pechino prende tempo e fa circolare tracce, foto, sussurri, pezzi di improvvisata normalità. Puzza di falso? Pazienza. È la parola degli altri contro quella semi ufficiale di fonti vicine ai vertici del partito. È informazione di Stato e risponde senza dire, senza certezze. Che fine ha fatto Peng Shuai? Pechino fa sapere che la domanda è sbagliata. Non c'è nulla da sapere, nulla da capire. È tutto tranquillo. Basta fidarsi di Hu Xijin, il direttore del Global Times, il quotidiano della verità certificata, quella riconosciuta dal governo. «È rimasta a casa sua e non voleva essere disturbata. Si presenterà in pubblico e presto parteciperà ad alcune attività». Non ci credete? Ecco le foto. Peng nella sua camera da letto. Peng con i peluche. Peng circondata di colori. Peng che abbraccia il suo gatto e pazienza se lui non riesce a mentire e fa la faccia triste. È tutto sotto controllo. Ci sono anche due video di 15 e 70 secondi. Una ragazza entra al ristorante con cappotto, berretto di lana e mascherina e poi uno con Peng Shuai seduta al tavolo con l'allenatore e alcuni amici. Si parla vagamente di tennis e una donna dice «oggi è il 20 novembre» e un'altra la interrompe chiarendo «No, domani è il 21». Sono insomma già nel futuro. La Cina sostiene: ecco le prove. Il mondo resta interdetto e i dubbi restano. La linea di Pechino non cambia: negare tutto, negare sempre. Peng Shuai non ha mai accusato di violenze sessuali e psicologiche Zhang Gaoli, l'ex vicepresidente cinese. Non ha mai scritto nulla del genere. No, non è sparita dal 2 novembre. È solo stanca e vuole stare da sola.
È quello che ogni volta accade quando si parla di diritti umani in Cina. I campi di lavoro? Nessuno obbliga nessuno. Hong Kong? La fine di un contratto di affitto. Taiwan? È l'antica isola che il continente vuole riabbracciare. Non sarà una tennista a cambiare le cose. Solo che questa volta qualcosa nella strategia del partito comunista cinese non sta funzionando. Il caso Peng Shuai è una slavina. Ne parla Serena Williams. Ne parla Novak Djokovic. Ne parlano colleghe e colleghi. Si fa sentire anche Roger Federer: «Il tennis è una famiglia. È con noi da venticinque anni. Non smetteremo di chiidere fino a quando non avremo una risposta».
La storia di Peng è più grave di quello che avviene tutti i giorni, ma fa molto più rumore. C'è una donna che denuncia la meschinità del potere. Lo scrive su Weibo, il social più popolare in Cina, e dopo pochi minuti viene censurato. È il 2 novembre e da allora Peng è uno spazio bianco. Pechino pensa che far scomparire una campionessa di tennis, ex numero uno nel doppio, semifinalista agli Us Open, sia cosa da nulla. Non sarà un problema. I vertici del partito sono ancora in parte convinti di questo. L'Occidente sa solo scandalizzarsi, ma non ha la forza di fare altro. È questo il punto. Chi avrà il coraggio di boicottare le Olimpiadi invernali? Non sono lontane. Ci saranno a marzo. Washington e Londra ci stanno pensando. È per ora una minaccia. Cosa faranno gli altri governi? Fino a che punto si può tirare la corda? Cosa significa una guerra diplomatica con Pechino? Quanto vale la dignità di Peng Shuai? Non è solo per lei. È per smetterla di chiudere gli occhi. È per i laogai. È per Hong Kong e per Taiwan. È per non vergognarsi. Le possibilità di un no forte e vero alle Olimpiadi sono poche. Ci sono in ballo soldi e le relazioni con la Cina.
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