Pensioni e salari per essere rieletto Erdogan prova a regalare soldi a tutti

Il Paese è in recessione, ma il presidente si gioca tutte le carte per convincere il popolo a ri-votarlo alle elezioni di primavera

Pensioni e salari per essere rieletto Erdogan prova a regalare soldi a tutti

Dopo aver eliminato per via giudiziaria i propri avversari, come il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu e Canan Kaftancoglu, capo della sezione di Istanbul del CHP, Recep Tayyip Erdogan prova a convincere i suoi elettori ingrossando le loro tasche. In vista dell'appuntamento elettorale della prossima primavera ha deciso di mandare in anticipo in pensione due milioni di cittadini turchi, cambiando le modalità di accesso.

Via l'età pensionabile stabilita a 58 e 60 anni per donne e uomini e possibilità di andare in pensione a chi ha iniziato a lavorare prima del Settembre 1999 e ha versato contributi per 20-25 anni. In questo modo il governo prosegue con la sua tappa di avvicinamento alle urne, dopo aver decretato l'aumento del salario minimo del 50%. In questo modo dal 1 gennaio 2023 il salario minimo salirà a 8.500 lire turche, circa 480 euro: si tratta del terzo aumento in due anni.

Erdogan, semplicemente, ha compreso che il fronte interno può sgretolarsi da un momento all'altro e tenta di giocare la carta dei bonus per disinnescare il rischio di un exploit delle forze di opposizione, in un anno caratterizzato dal crollo della sua popolarità come mai era accaduto in questo ventennio.

Da un lato nel Paese l'inflazione ha sfondato l'80%, con sacche di povertà che si ingrossano quotidianamente e le file per il pane sotto gli occhi di tutti; dall'altro si somma ad un biennio complicatissimo alla voce finanza, con un deprezzamento della lira turca del 50% tra il 2021 e il 2022 che il governo ha contrastato solo con un cambio alla guida della banca centrale, dove i nuovi vertici sono organici al governo. Al contempo le spese legate alla difesa e alla geopolitica neo ottomana non si fermano, come gli investimenti sul nuovo super drone Kizillelba, un caccia senza pilota sviluppato sulla tecnologia del Bayraktar.

Non va meglio sul fronte internazionale, dove i nodi di Erdogan si leggono alla voce Nato, Grecia e Pkk. Se in prima battuta il Sultano ha inteso riallacciare i rapporti con una serie di paesi altamente strategici come Israele, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita ed Egitto, dall'altro sconta la diffidenza dei suoi interlocutori senza dimenticare le costanti frizioni con Washington e Atene.

L'utima minaccia turca verso la Grecia riguarda la zona economica esclusiva a largo di Creta, (dove opera il colosso americano Exxon) contestata da Ankara, ma di fatto nel quadro di leggi e trattati internazionali: Erdogan la contrasta perché nel fattempo ha raggiunto un accordo marittimo con la Libia, che però è stato ritenuto illegale anche dall'Ue, mentre non si fermano gli sconfinamenti degli F16 turchi nei cieli ellenici, a dimostrazione di una retorica non più solo nelle dichiarazioni.

Il governo turco però insiste e annuncia di aver fotografato l'esercito greco schierare mezzi militari ricevuti dagli Usa sulle isole di Samos e Lesbos. La risposta ellenica si ritrova nelle posizioni espresse dal Presidente della Commissione Esteri del Senato americano, Bob Menendez, fortemente contrario alla vendita ad Ankara di nuovi F16 americani.

Altro elemento di frizione è il rapporto con il Pkk: «Per siriani, iracheni e africani le porte si trasformano in muri, però non hanno nessun problema ad accogliere membri del Pkk e golpisti», ha detto provocatoriamente

il presidente turco pochi giorni fa, con riferimento anche all'asilo concesso a presunti terroristi separatisti e golpisti, che hanno spesso creato tensione tra la Turchia e Paesi europei come Germania, Grecia e Francia.

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