Pensioni, Francia sotto assedio. Destra e sinistra contro Macron

Paese in fiamme: proteste, scioperi e blocchi. Tornano i gilet gialli. Asse tra avversari politici per boicottare il presidente

Pensioni, Francia sotto assedio. Destra e sinistra contro Macron

Parigi. Dopo il caos esploso giovedì sera a Place de la Concorde (258 fermi), e manifestazioni spontanee in tutta la Francia contro il ricorso del governo alla blindatura della riforma delle pensioni passata senza sottoporla al voto dell'Assemblea nazionale (oltre 60 mila persone), ieri vari bis in tutto l'Esagono. Ancora 5mila persone in strada a Parigi. Altre a Bordeaux, Tolosa, Marsiglia. Ed è stato anche il turno della politica.

Cinque gruppi di opposizione hanno firmato una mozione di sfiducia trasversale per far crollare il castello in cui l'esecutivo si è arroccato: quell'articolo 49 comma 3 della Costituzione che in punta di diritto consente al governo di far passare una legge forzando il sistema, ma che in una Francia in agitazione da tre mesi per un testo osteggiato da 7 francesi su 10 - secondo tutti i sondaggi contrari al passaggio da 62 a 64 anni con 43 di contributi per un assegno pieno - il gesto con cui il governo ha scelto di bypassare l'aula è diventato il simbolo di ciò che di peggio ha da esprimere la «Macronie»; dalla mancanza di ascolto all'arroganza con cui la premier Elisabeth Borne si è presentata tra i fischi in Assemblée rivendicando la forzatura. Tra accordi e disaccordi, provando a riprendersi un ruolo che l'Eliseo ha tolto all'aula degli eletti dopo quasi tre mesi di dibattiti (e la promessa che sarebbe stato il Parlamento a scrivere la riforma), c'è stata una prima saldatura delle opposizioni. Non potendo per ragioni ideologiche far votare l'uno la mozione dell'altra, Jean-Luc Mélenchon ha fatto ritirare quella dei suoi. E con Marine Le Pen ha trovato nel piccolo gruppo di moderati che va sotto il nome di Liot (che riunisce 20 deputati dal centrodestra al centrosinistra) un'arma utile a scardinare la maggioranza relativa del presidente, puntando a sfiduciare insieme il governo, e solleticando anche qualche neogollista scontento della riforma.

Proprio il partito fondato nel 2015 da Sarkozy sulle ceneri dell'Ump è centrale in questa fase. Lo è stato per aver fatto mancare i voti a Macron e lo sarà anche lunedì, quando saranno votate le due mozioni di sfiducia (la seconda è stata comunque presentata dai lepenisti). Il cartello guidato da Éric Ciotti (contrario alla sfiducia) è diviso al punto che metà dei suoi eletti è una mina vagante. Ieri non hanno sottoscritto mozioni. Ma quella del Liot ha già raggruppato trasversalmente 91 firmatari: «Dobbiamo difendere la democrazia». Basterebbero 32 neogollisti per raggiungere i 287 voti utili a far cadere il governo e far ritirare automaticamente la riforma.

Borne resta sulla graticola per non essere riuscita a trovare una maggioranza utile a sostenere la «madre di tutte le riforme». Si contano i giorni per definire il suo destino a Matignon. Intanto altre manifestazioni anti-governative disegnano nuove mappe della rabbia in decine di città. E ieri sono tornati in piazza a Parigi anche i gilet gialli incendiando cassonetti a pochi passi dall'Assemblée. Sulla Colonna di luglio di Place de la Bastille è pure comparsa la scritta «Morte al re». Dall'annuncio del 49.3, c'è stato un contagio tra la protesta dei sindacati e le frange più violente del movimentismo: di sinistra, ma non solo. Agitazioni tra scuole, università e fabbriche, raffinerie. Il ministro dell'Interno, Gérald Darmanin, teme anche aggressioni ai deputati e ha chiesto alle prefetture di rafforzare i controlli. Macron resta al suo posto.

Ma come farà a guidare un Paese in rivolta, anche se il governo non sarà sfiduciato? Se decidesse di sciogliere le Camere, e tornare al voto per il Parlamento, con l'aria che tira sarebbero le estreme a guadagnarci: destra e sinistra. Frammentazione più forte. E paralisi garantita.

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