Questo 2 giugno del 2018 cade in un momento particolare: proprio quando dobbiamo fare i conti con un debito pubblico a livelli record e sta per nascere un esecutivo che solleva da più parti preoccupazioni. Nessuno sa bene come si muoverà l'alleanza che unisce i Cinquestelle di Luigi Di Maio e la Lega nazionale di Matteo Salvini, ormai lontana dai progetti federalisti e secessionisti di Bossi. Nessuno può prevedere, in particolare, come l'esecutivo si muoverà in materia di Unione europea e moneta unica. I grillini e i leghisti paiono sognare un'Italia che si lascia alle spalle l'euro e i vincoli di bilancio: per poter inflazionare e svalutare la nuova moneta, ma anche con l'obiettivo di indebitarsi ben oltre quel limite del 3% fissato dagli accordi comunitari.
È chiaro che l'euro può essere criticato in vari modi e che nessun liberale può difendere una moneta come questa: fiduciaria (senza copertura in oro) e a corso legale. Quanti ritengono cruciale la libertà d'intraprendere e il rispetto dei diritti di proprietà auspicano un ordine monetario concorrenziale, che veda competere monete diverse e favorisca una buona gestione delle valute.
È però chiaro che oggi uscire dall'euro comporterebbe conseguenze gravissime. È più che legittimo considerare la moneta unica un errore, ma bisogna anche chiedersi cosa intendono fare quanti propongono di abbandonarla. Vogliono dare agli italiani la più ampia libertà monetaria? Vogliono costruire una nuova lira che rigetti le logiche inflazionistiche? Niente di tutto questo. Intendono uscire dall'euro proprio perché l'espansione monetaria voluta da Mario Draghi appare loro insufficiente. Non s'intende lasciare lo statalismo europeo per avere meno statalismo, ma al contrario per averne di più.
Questo deve farci comprendere, allora, che l'Europa va senza dubbio criticata, ripensata, riformata. Per giunta il progetto di fare dell'Unione un super-Stato è pericolosissimo, dato che moltiplica sovranismi, fascismi e spinte protezionistiche. Ci sono però critiche indirizzate all'Europa che intendono allargare gli spazi di libertà e altre, invece, che si muovono in direzione opposta.
L'Europa odierna ha girato le spalle al mercato: è tecnocratica e arrogante. Pretende di regolare Paesi molto diversi ed è costantemente pronta a censurare taluni (dall'Ungheria alla Polonia) e assolvere altri (come nel caso della Spagna). È forte con i deboli e debole con i forti, poiché le sue decisioni dipendono da un ristretto gruppo di attori.
Sarebbe comunque un errore non capire che i problemi dell'Italia sono in primo luogo addebitabili agli italiani. Una Repubblica votata alla spesa facile produce solo debito e assistenzialismo. E quando le logiche dominanti sono di carattere centralista e dirigista, non c'è da stupirsi se le prospettive sono cupe.
Non abbiamo allora bisogno di andare a Bruxelles per fare le vittime, né tanto meno abbiamo bisogno di ottenere dall'Europa l'autorizzazione a essere ancor più spendaccioni. Dobbiamo invece ridurre il potere e localizzarlo, mettendolo in concorrenza. Dobbiamo dimenticare il reddito di cittadinanza (che danneggerebbe ancora di più un Sud già troppo assistito) e liberare le forze del lavoro.
Possiamo certo aiutare i nostri partner a costruire un'Europa meno dirigista, ma soprattutto dobbiamo mettere ordine
a casa nostra: buttando a mare la cultura statolatrica e centralista all'origine dei nostri problemi e che ancora caratterizza quel contratto di governo che, va detto a chiare lettere, promette davvero ben poco di buono.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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