Per il permesso umanitario adesso basta la buona volontà

La Cassazione dà ragione a un nigeriano a cui era stato rifiutato l'asilo perché non aveva un lavoro fisso

Per il permesso umanitario adesso basta la buona volontà

Se come migrante hai una «seria intenzione» di integrarti nel nostro paese puoi restare con tanto di protezione umanitaria. Di fatto basta la volontà e contano di meno i fatti concreti. Per non parlare del migrante che è riuscito a restare in Italia grazie alle inondazioni nel suo paese. Le sentenze vanno sempre rispettate, ma ogni tanto ti lasciano a bocca aperta. E agli occhi del cittadino medio sembrano assurde. La Corte di cassazione ha riconosciuto che la «seria intenzione» di Patrik W. di integrarsi in Italia è sufficiente per restarci con un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Peccato che nel gennaio 2021 la Corte d'appello di Cagliari avesse bocciato la richiesta ritenendo che la frequenza di corsi per imparare la nostra lingua e il contratto di lavoro a tempo determinato non fossero elementi che attestavano il radicamento di Patrick W. in Italia. Al contrario gli «ermellini» della Cassazione hanno stabilito che «la seria intenzione di integrazione sociale, desumibile da una pluralità di attività, può rilevare ai fini della protezione umanitaria, quantunque essa non si sia ancora concretizzata in una attività lavorativa a tempo indeterminato». Parole tratte dalla sentenza vergata da Maria Acierno, che presiede la prima sezione civile. In pratica basta provarci e sei nostro ospite.

L'avvocato Stefano Mannironi, del foro di Nuoro, ha fatto valere, a riprova del cammino di integrazione del suo cliente, un lavoro a tempo determinato «con prosecuzione ininterrotta dal 2018» oltre al fatto di avere frequentato corsi di italiano. E ha prodotto dei «certificati scolastici attestanti una buona padronanza della lingua». La suprema giudice ha anche giustificato le ragioni di Patrik W. sul mancato posto fisso scrivendo che «tale obiettivo presenta difficoltà non irrilevanti anche per i cittadini del Paese ospitante». In definitiva, più che guardare a risultati concretamente raggiunti occorre analizzare il percorso effettivamente intrapreso dalla persona che richiede il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Anche solo a livello di «seria intenzione». Tutto troppo facile e dannoso come precedente, che potrebbe aprire una valanga di ricorsi a casi simili dove non sarà sempre facile stabilire la corrispondenza alla realtà della «seria intenzione» di integrasi in Italia.

Altra sentenza tragicomica è quella del tribunale di Venezia che ha accolto il ricorso di un nigeriano di 33 anni per ottenere un permesso di protezione sussidiaria già rigettato dalla Commissione territoriale di Treviso nel 2019. I giudici che si occupano di immigrazione hanno stabilito che il nigeriano aveva ragione essendo scappato nel 2016 da Bosso, una cittadina del Niger sul confine con la Nigeria dopo l'attacco al mercato locale da parte di Boko Haram. Il gruppo jihadista africano si scontrava duramente con l'esercito nigeriano e una valanga di profughi sono fuggiti a Bosso. Dal 2019, però, non si registrano più gravi attacchi terroristici. Il migrante è ovviamente arrivato nel nostro paese attraverso il traffico di esseri umani dalla Libia. A Treviso non avevano creduto molto alla sua storia, ma i giudici di Venezia hanno spiegato che accanto all'instabilità politica va tenuto conto dei cambiamenti climatici. «Dall'agosto 2020, inoltre, il Niger sta affrontando le peggiori inondazioni della sua storia, che hanno colpito oltre mezzo milione di persone in una sola stagione».

Il tribunale di Venezia, come se fosse una costola dell'Onu sul clima e la fame nel mondo, sottolinea che «il Niger è identificato tra i 10 paesi maggiormente vulnerabili ai cambiamenti climatici dall'indice Notre Dame» stabilito dall'omonima università francese. Per questo bisogna garantire al migrante la protezione sussidiaria facendolo restare da noi.

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