Un piano di investimenti e il mix di tecnici e politici

Nel toto-ministri Panetta, Cartabia, Colao, Boeri e Cottarelli. E Conte rispunta per la Farnesina

Un piano di investimenti e il mix di tecnici e politici

È ancora un enigma la composizione della base parlamentare che potrà sostenere un governo Draghi, ma il totoministri si è già scatenato. Saranno tecnici di fiducia dell'ex presidente Bce? Personalità indicate dal Quirinale? E ci saranno anche ministri politici, per rappresentare i partiti che lo appoggeranno in Parlamento? Ne resisterà qualcuno dell'attuale esecutivo, magari un M5s così da ottenere anche l'appoggio del grillini, notoriamente avidi di poltrone? E con quale programma di governo? Su quest'ultimo interrogativo si analizza ai raggi X il breve discorso di Draghi al Quirinale, a caccia di indizi per prevedere quali saranno le direttrici della sua (probabile) missione da premier. Ha citato due impegni precisi, «vincere la pandemia, completare la campagna vaccinale», ma poi ha aggiunto obiettivi più vasti come «offrire risposte ai problemi quotidiani dei cittadini, rilanciare il Paese», aggiungendo che ciò andrà fatto con «uno sguardo attento al futuro delle giovani generazioni». Non si tratta quindi di un governo chiamato solo a contrastare la pandemia e ad accelerare il piano dei vaccini (finora gestito male da Arcuri), quello di Draghi è un disegno più ambizioso, reso possibile dalle «straordinarie risorse messe a disposizione dall'Unione europea». Tradotto, significa che sarà Draghi a progettare il «Recovery Fund» come un piano di riforme e investimenti pubblici per risollevare l'Italia dal -9% di Pil lasciato in eredità dal governo Conte. Per l'ex numero uno della Bce si tratta di fare «debito buono», da lui distinto dal «debito cattivo» in un intervento al Meeting di Rimini l'anno scorso. Da una parte il debito buono «utilizzato a fini produttivi come investimenti nel capitale umano, nelle infrastrutture cruciali per la produzione, nella ricerca», dall'altro quello cattivo perché «utilizzato per fini improduttivi», così spiegò l'ex governatore di Bankitalia. Quindi, con Draghi, arriverà uno stop ai bonus e sussidi a pioggia (dai monopattini al bonus vacanze) di cui è stato campione l'esecutivo uscente.

«I sussidi servono a sopravvivere, a ripartire. Ma ai giovani bisogna dare di più: i sussidi finiranno e resterà la mancanza di una qualificazione professionale, che potrà sacrificare la loro libertà di scelta e il loro reddito futuri» ha spiegato Draghi, facendo capire quale sarà una sua priorità: «L'istruzione e, più in generale, l'investimento nei giovani. Privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza». Un tema, quello delle future generazioni, richiamato appunto anche ieri nel suo primo intervento da premier incaricato. L'ambiente è un tema che considera prioritario, come anche la digitalizzazione, «divenuta necessità». E il Mes? Draghi non ne parla mai, da presidente Bce ha ridimensionato l'importanza del Fondo salva Stati caro ai falchi tedeschi, gli stessi ostili al «suo» quantitative easing.

Anche sul reddito di cittadinanza si profila un intervento correttivo. Draghi lo ha spiegato in un famoso articolo sul Financial Times lo scorso marzo: «La priorità non deve essere solo quella di fornire un reddito di base a coloro che perdono il lavoro. Dobbiamo innanzitutto proteggere le persone dalla perdita della busta paga», per questo serve «un immediato sostegno di liquidità», la perdita di reddito nel settore privato, per Draghi, deve essere assorbita dai bilanci pubblici. La liquidità per proteggere il sistema economico deve essere mobilitata attraverso la totalità del sistema finanziario: i mercati obbligazionari, i sistemi bancari, che devono aprire le linee di credito. E tutto ciò va fatto «immediatamente, evitando ritardi burocratici». La digitalizzazione, la semplificzione normativa, la modernizzazione della pubblica amministrazione, l'adeguamento tecnologico dell'assistenza sanitaria, la riforma e digitalizzazione della giustizia, gli altri punti dell'ambizioso new deal che ha in mente Draghi.

Per farlo servirà una squadra all'altezza, e qui viene la parte più difficile perchè si entra nella giungla del Parlamento. Si sta facendo infatti largo l'ipotesi che alcuni ministri siano espressione dei partiti oppure confermati dal governo attuale in qualche caso. Si fanno i nomi della Lamorgese (sgradita però alla Lega, che dovrebbe appoggiare Draghi) e addirittura gira quello di Giuseppe Conte per gli Esteri (ma nella shortlist ci sono anche Elisabetta Belloni e Giampiero Massolo) o come vicepremier, un incarico che servirebbe a rendere più digeribile l'ennesima giravolta del M5s che sosterrebbe così Draghi.

Un grillino papabile potrebbe essere Stefano Patuanelli (Infrastrutture), mentre nelle ultime ore è spuntato anche il nome del leghista Giancarlo Giorgetti, bocconiano, amico di Draghi e suo «fan» già in tempi non sospetti. Per i ministeri economici si fanno i nomi di Fabio Panetta (Bce), Vittorio Colao, Carlo Cottarelli, Enrico Giovannini, Lucrezia Reichlin, Tito Boeri (al Lavoro). Per la Giustizia, Paola Severino o Marta Cartabia.

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