Dormire ci fa diventare più alti: al mattino misuriamo infatti mezzo centimetro in più perché i dischi intervertebrali, di notte, riprendono la loro forma originaria Eccola la frase che lancia la meditazione che settimanalmente condivido con voi. Da piccolo appresi con stupore e curiosità che un terzo della nostra vita lo passiamo dormendo. Mi colpì moltissimo, perché realizzai così che la vita a disposizione non era solo una, ma forse due. Parallele e contemporanee, connesse tra loro, ma che non si intersecano mai.
Dormire Chi dorme poche ore, chi tante, chi trova nel sonno ristoro, chi, invece, pensa che dormire sia uno spreco di tempo, assegnando così a quel «terzo di tempo» più individuale che abbiamo a disposizione anche un innegabile disvalore.
In realtà, quando andiamo a letto, ci «traslochiamo» in un'altra dimensione della quale, quasi, non abbiamo contezza. I sogni (quelli che ricordiamo) rimangono solo segni -inconsistenti e labili- del fatto che sì, abbiamo dormito e dunque non eravamo spariti; eravamo solo assenti e collocati in uno spazio diverso, inventato per rifocillare lo spirito, quotidianamente svuotato da quel forte impatto emotivo che è la vita diurna.
Il sonno è dunque la sperimentazione della morte in vita? È questo che si prova quando usciamo di scena? Il sonno è l'invenzione che, mentre ancora lo abitiamo, ci fa sperimentare come sarà la nostra assenza dal mondo. È come un simulatore di volo che da fermo ti fa provare l'ebbrezza dei cieli. Di quanto accade in quel momento, una volta tornati verticali, non permane traccia.
Persino i sogni più forti, quelli che miracolosamente la mattina sono ancora vividi, dopo i primi approcci col nuovo giorno vengono rimossi dalla nostra mente, come se lo stesso sonno, in una vampata di piccata ritrosia, rifiutasse di essere classificato e definito. E anche se li annotiamo una volta svegli, per non vederli svanire, sappiamo in cuor nostro che stiamo semplicemente reinventando un copione di fantasia, tutto soggettivo. I sogni, infatti, sono pura commedia dell'arte concepita per mettere in contatto corpo e mente nella fase rem. Eppure chi mai ha memoria, nel tempo, di una bella (o brutta) dormita? Al massimo possiamo valutare se abbiamo dormito tanto o poco, bene o male, ma il contenuto di quel terzo di vita silente, il più recondito, il più profondo, non viene mai trattenuto. O, quantomeno, non lascia tracce.
Altra annotazione, un po' di parte: per affrontare il sonno le opportunità di abbigliamento adatte ad attraversare la notte si rarefanno: un pigiama, pezzi di intimo, oppure, finalmente, la nudità. Queste le tre varianti di vestiario (a meno che indossare solo Chanel n.5, come nella leggenda di Marilyn, non costituisca una quarta, possibile via, tutta al femminile) utilizzate per affrontare il viaggio nell'ignoto che chiamiamo sonno. Spesso ho pensato che oltre i pigiama, che a volte amo ideare pensando all'estrema e necessaria discrezione di questo capo in fondo indossabile esclusivamente in presenza di persone con le quali abbiamo grande famigliarità - l'indumento più amichevole da «portare» a letto, per me, è una t-shirt: il più semplice dei capi, il più basico, verso il quale provare affetto e che con grande understatement può accompagnare il nostro dormire alleggerendo la solitudine della traversata.
Dormire - se da un certo punto di vista può ricordare la fine- da un altro ricorda la meditazione: in entrambi i casi il mondo
esterno viene dimenticato e non per sbadataggine, ma per necessità. Dimenticare, rimuovere, rilassare le membra e le ossa, sono atti delegati al sonno e alla sua insostituibile funzione di parentesi tra uno stupore e l'altro.
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