Nelle grandi manovre in corso nella politica italiana, in attesa della nuova legge elettorale e delle elezioni che, si spera, permetterano ai cittadini di scegliere da chi essere governati, a sorpresa (ma non troppo) scende in campo l'ex sindaco di Milano, Giuliano Pisapia. In un'ampia intervista concessa al Corriere della sera indica il suo progetto: una grande alleanza con l'obiettivo ambizioso di riunire le diverse anime della sinistra che, tutte insieme, dovrebbero arrivare al 40% dei voti. Tenendo conto anche del Pd. Il "Campo progressista", così lo chiama l'ex sindaco. Ma per fare cosa? "Offrire altro, rivoluzionare la politica, cambiarla nel profondo. Vogliamo unire storie e percorsi diversi e costruire una casa comune, per riunire chi vuole fare qualcosa per la società e non trova il modo". Pisapia dice di volersi rivolgere alle associazioni che lavorano sul territorio, le amministrazioni locali, il volontariato laico e cattolico. E assicura di non voler essere lui il protagonista: "Mi metto al servizio di un impegno politico collettivo". Resta il fatto che lui è il leader di questo "progetto".
A chi lo accusa di voler fare la "stampella" di Renzi (e del Pd), Pisapia risponde mettendo le mani avanti: "Non ho mai fatto la stampella di nessuno, e a Renzi ho sempre detto quello che pensavo. Ho il mio lavoro, non ho ambizioni personali. Nel 1998 mi dimisi da presidente della commissione Giustizia della Camera dopo la caduta di Prodi. Più volte ho rifiutato di fare il ministro. Ho fatto un passo indietro dopo la vittoria storica di Milano, dove da vent’anni governava la destra, e dopo cinque anni di governo unitario, con la massima radicalità sui valori e il massimo pragmatismo". E aggiunge: "Quest’estate ho girato l’Italia e sono andato a incontrare le tante persone che mi avevano scritto. Sono stato nelle grandi città e in paesi che non sapevo esistessero. Ho scoperto che esiste un mondo ricchissimo".
"Faremo iniziative in diverse città, anche con sindaci e amministratori di piccoli e grandi Comuni". E c'è già una data per un primo appuntamento nazonale: "L’11 marzo faremo il primo grande incontro a Roma". Ma per fare cosa? Secondo Pisapia "la prospettiva è spostare il Partito democratico a sinistra. Per necessità numerica, il Pd è stato costretto a governare con forze che non erano nè di sinistra né civiche. È il momento di andare oltre". Pisapia non ha dubbi che il Campo progressista (l’alleanza tra il Pd, gli "arancioni", le liste civiche, gli ecologisti) possa arrivare al 40%". Ma non nasconde che vi possano essere problemi: "Bisognerà vedere se la legge elettorale consentirà le coalizioni. Siamo una forza autonoma; non possiamo certo entrare in una lista con il Pd".
Nel compesso Pisapia come giudica Renzi, con cui non nasconde di volersi alleare? "Ha lati positivi: coraggio e, all’inizio, capacità innovativa. Ha portato a termine riforme ferme da decenni, a cominciare dalle unioni civili; ma ha anche sbagliato sul referendum e su altre riforme che si sono trasformate in controriforme, ad esempio sul Jobs Act. Dovrebbe ascoltare di più. E non ha capito che i corpi intermedi sono importanti; a cominciare dai sindacati". Poi insiste: "Quello che mi interessa è recuperare i milioni di voti persi tra gli elettori di centrosinistra. E far appassionare i giovani a una nuova politica".
Ma se nel Pd si arrivasse ad una scissione? "Non me la auguro - dice Pisapia - ma certo non dipende da me. L’importante è che il Pd capisca di non essere autosufficiente. Occorre una svolta che guardi a sinistra. Una forte discontinuità, rispetto a una stagione in cui i democratici erano costretti ad accordi con Alfano e anche con Berlusconi". E proprio in tal senso aggiunge: "Per me sarebbe impossibile appoggiare un governo di larghe intese".
Sul toto data per il voto l'ex sindaco di Milano precisa: "Sarebbe bene portare a termine le riforme già avviate: ius soli, reddito di inclusione, norme per non far fallire le società confiscate alla mafia, limiti ai voucher. Se mancasse la volontà, meglio andare a votare. In ogni caso i tempi saranno lunghi, perché serve una nuova legge elettorale".
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