Tace ma parla, il pm dell'Antimafia nazionale Antonio Laudati. Dopo due settimane in cui aveva rinviato le proprie spiegazioni all'interrogatorio che lo attendeva alla procura di Perugia, che indaga su di lui per tre reati (accesso abusivo, falso in atto pubblico e abuso d'ufficio) il magistrato ieri avrebbe finalmente potuto dare la sua versione davanti ai colleghi umbri che lo accusano, guidati dal loro capo Raffaele Cantone. Invece Laudati non si presenta e sceglie di tacere, avvalendosi della facoltà di non rispondere, come reazione alle fughe di notizie che a suo dire hanno costellato l'indagine a suo carico: fughe di notizie per modo di dire, perchè la maggior parte dei dettagli sono stati resi noti pubblicamente da Cantone nella sua audizione alla Commissione parlamentare antimafia.
Il silenzio di Laudati è però accompagnato da affermazioni che il magistrato affida a due canali. Uno è il comunicato stampa con cui annuncia la sua decisione di non rispondere alle domande dei suoi inquisitori. Il secondo sono le spiegazioni off the record che vengono affidate a «persone a lui vicine» riportate ieri da Repubblica, e che Laudati non smentisce. Spiegazioni che chiamano in causa direttamente i suoi superiori, perchè «tutto quello che è uscito dalla Direzione nazionale antimafia aveva la firma del procuratore nazionale». Ovvero, per buona parte degli anni in cui Laudati ha lavorato alla Dna, Federico Cafiero de Raho, oggi deputato del Movimento 5 Stelle, e componente della stessa Commissione Antimafia che dovrebbe far luce sullo scandalo della Dna. Un doppio ruolo cui ieri Forza Italia torna a chiedere a de Raho di porre rimedio astenendosi dalle sedute dedicate ai dossier.
Che Cafiero de Raho avesse avuto un ruolo nella nascita della centrale deviata sorta in Dna era già chiaro da giorni, visto che proprio lui era stato a pretendere il monopolio delle Sos, segnalazione di operazioni sospette, provenienti dalla Banca d'Italia e divenute l'ingrediente principale dei dossier prodotti grazie alle soffiate di Laudati e del luogotenente della Guardia di finanza Pasquale Striano, vero dominus dell'ufficio che in Dna riceveva tutte le Sos. Ora Laudati fa un passo in più, e indica Cafiero de Raho come corresponsabile - se non altro per non avere controllato - dell'uscita dei dati dagli uffici della Dna. Ma che le fughe di notizie siano proseguite per anni indisturbate sotto gli occhi di Cafiero de Raho è un dato di fatto, ed è servito l'arrivo in Dna del nuovo capo Giovanni Melillo perchè i dossier cessassero di venire alimentati.
Il resto della sua verità Laudati lo affida ieri al comunicato in cui nega di avere mai effettuato accessi a sistemi informatici e di avere mai costruito dossier su politici o personaggi famosi. Ma i dossier esistevano, e sono approdati in diretta sulla stampa in occasione di scadenze politiche delicate, dall'elezione del Capo dello Stato alle crisi di governo.
Laudati dice: «non ho mai avuto alcun rapporto, neppure di conoscenza, con i giornalisti che risultano indagati», ovvero i cronisti del Domani che avevano un filo diretto con Striano. Ma esistono altri giornalisti, che Laudati non può negare di conosce e altri scoop. Esiste una inchiesta bis su altri casi di vip dossierati a colpi di sos? A Perugia negano.
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