Il tempo stringe. E il rischio che il Pnrr possa diventare il detonatore di tensioni difficilmente gestibili è sempre più alto. Ne sono consapevoli a Palazzo Chigi, dove - non a caso - hanno deciso da qualche settimana di dare il via a una sorta di «operazione verità». Dire cioè chiaramente come stanno le cose, quali sono i progetti realizzabili e quelli che non potranno mai essere portati a termine entro l'estate del 2026 e, infine, mettere nero su bianco «le responsabilità di ritardi e modifiche al Piano». In tutte le sedi. Che sia l'interlocuzione con la Commissione Ue o il Parlamento, dove nel prossimo mese e mezzo è atteso per ben tre volte il ministro per gli Affari europei e il Pnrr, Raffaele Fitto. Non è affatto un caso, dunque, che anche mercoledì scorso durante il bilaterale a Palazzo Chigi con Pedro Sànchez Giorgia Meloni non abbia fatto nulla per nascondere la sua frustrazione. «Siamo costretti a dover gestire un lavoro lasciato da altri, un Pnrr - ha detto al premier spagnolo - ereditato da Giuseppe Conte e Mario Draghi e sulla cui fattibilità abbiamo da tempo sollevato dubbi». Parole nette, che hanno lasciato in Sanchez questo racconterà nelle ore successive durante un lungo briefing con la stampa spaganola sul volo di ritorno a Madrid - la percezione che sia proprio il Recovery il dossier che più allarma una Meloni che lo ha molto colpito per la sua «tenacia».
D'altra parte, la tempistica del Pnrr in tutto 191,5 miliardi di euro destinati all'Italia - lascia margini di manovra strettissimi. Il punto non è tanto l'erogazione da parte di Bruxelles della terza rata da 19 miliardi, ancora in stand by ma che nel governo danno sostanzialmente per acquisita (quasi certamente stralciando i due progetti degli stadi di Firenze e Venezia). Quanto altre due scadenze: quella del 30 aprile, termine entro cui l'esecutivo è tenuto a presentare il Pnrr rivisto e integrato con il nuovo capitolo energetico del RePowerEu, e quella del 30 giugno, data entro cui bisogna raggiungere ulteriori 27 obiettivi (dalla riforma della giustizia e penale a quella del pubblico impiego) per sbloccare la quarta rata da 16 miliardi di finanziamenti europei.
Il Piano, dunque, sarà certamente rimodulato. Isolando i progetti «poco realistici» (gli ospedali di comunità, per esempio, sono considerati un intervento moltiplicatore della spesa pubblica che non ha copertura finanziaria) e proponendo a Bruxelles l'allineamento del Pnrr con le politiche di coesione (altri 43 miliardi per il 2021-2027) e il Fondo per lo sviluppo e la coesione (che copre fino al 2029), con l'obiettivo di spostare proprio in questi contenitori i progetti del Recovery che non possono essere realizzati entro il 2026.
Qualche indicazione in più arriverà la prossima settimana, quando Fitto dovrebbe intervenire in Senato, dove mercoledì arriva in Aula il decreto Pnrr. Continuerà la cosiddetta «operazione verità» che, spiegano fonti di governo vicine al dossier, non significa «fare lo scaricabarile» ma solo «evitare di diventare il capro espiatorio per responsabilità che non sono nostre». C'è, dunque, piena consapevolezza di quanto il fronte possa essere esplosivo. Non solo perché coinvolge direttamente la Commissione Ue dove l'impasse italiana su Mes e concessioni balneari ha riacceso un certo nervosismo dell'asse franco-tedesco ma anche perché il Pnrr è il dossier che più di tutti ha l'attenzione del Quirinale. Con l'opposizione che è pronta ad approfittare di qualsiasi errore e la Lega che sta giocando una partita tutta sua.
Non certo un dettaglio, questo. Perché vuol dire che il fronte non è solo esterno ma pure interno. Con Matteo Salvini che pubblicamente sposa la linea di Meloni e i suoi che invece si muovono in ordine sparso. Non è un caso che dalle parti di Palazzo Chigi facciano notare quanto il Pnrr sia fondamentale anche per il leader della Lega, che oltre ad essere vicepremier è ministro per le Infrastrutture. La terza delle sei missioni del Piano, infatti, è dedicata alle «infrastrutture per una mobilità sostenibile», con uno stanziamento complessivo di 31,46 miliardi di euro.
Gran parte dei quali sono destinati al potenziamento della rete ferroviaria, mentre il resto è dedicato alla digitalizzazione di porti e aeroporti e alla messa in sicurezza di strade, ponti e viadotti. Insomma - è il ragionamento che fanno due ministri di Fdi - se dovesse saltare il Pnrr, il Mit resterebbe a secco di risorse e difficilmente Salvini non ne sarebbe travolto.
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