Quando un vecchio democristiano incontra un tecnico... Viene da parafrasare la celeberrima frase di Gian Maria Volontè nello spaghetti western «Per un pugno di dollari», per ricordare che l'uomo con il fucile prevarrà sempre su quello con la pistola. E il Winchester di Sergio Mattarella non ha smentito l'antico proverbio messicano dinanzi alla Colt di Mario Draghi. Le classiche partite che, rigiocate mille volte nel sogno dei tifosi, finiscono sempre con il medesimo punteggio.
Il latente ballottaggio istituzionale tra il presidente della Repubblica uscente e il presidente del Consiglio è la sintesi della contrapposizione dei due mondi che si contendono da tempo le massime cariche dello Stato. Draghi ha giocato le sue carte con malcelata smania, dosando i silenzi con l'ostentazione nello schivare domande pubbliche insidiose. Ma sicuramente Mattarella ha impartito una grande lezione di tattica e di abilità sublime nel destreggiarsi tra le impietose mitragliatrici di Palazzo che hanno falciato una decina di candidati autorevoli.
C'è poco da fare. Tra le ambizioni degli «homines novi» nella vita pubblica e il raggiungimento dell'obiettivo, spesso è il modo di agire che fa la differenza. Il capo dello Stato ha ostentato distacco e disinteresse dopo aver annunciato l'indisponibilità alla rielezione. Non solo, le immagini veicolate sui social di scatoloni da trasferire e mobili in viaggio da Palermo verso la nuova abitazione privata di Roma hanno alimentato l'immagine di uno statista dedito al meritato riposo dopo sette anni massacranti. Draghi invece è apparso animato da una frenesia da auto candidatura che l'ha portato a infilarsi in incognito nella vita dei partiti con trame eterodirette. È finita come doveva finire, con la plastica rappresentazione di un risultato straordinario per il vincitore: Mattarella si è fatto pregare di accettare il più alto incarico istituzionale mentre Draghi ha incassato veti politici e inviti a non sfasciare il quadro politico per le sue aspirazioni. Sarà banale il riassunto, ma il riconfermato capo dello Stato ha unito mentre l'ex presidente della Banca centrale europea ha diviso.
I grandi analisti della vita parlamentare hanno sorriso sornioni in questi giorni nell'assistere alla girandola di potenziali candidati al Colle privi di pedigree politico, dal capo dei servizi segreti all'ambasciatore. Il Quirinale è una partita per pochi cavalli di razza, allevati nelle scuderie di Montecitorio e dintorni più che nelle eccellenze della società civile. I Mattarella, i Napolitano, gli Scalfaro, i Cossiga, sono assurti sul massimo soglio laico temprati dalla vita di partito e di aula.
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