È il 25 aprile del 2009. Berlusconi è a Onna per la Festa della Liberazione, e tra le macerie del paesino abruzzese, teatro nei giorni della Resistenza di un eccidio nazista, tiene un celebre discorso che sembra poter consacrare, nel nome della «libertà», il 25 aprile come festa davvero di tutti. L'indice di gradimento del Cav è al suo massimo, ma da lì parte l'attacco frontale giustizialista che indebolirà Berlusconi e il suo governo. «Ricordo bene quel giorno, così come gli eventi che seguirono», spiega al Giornale Fabrizio Cicchitto. L'ex parlamentare socialista e azzurro, oggi presidente di Riformismo e Libertà, era allora capogruppo alla Camera del Pdl. «Il 25 aprile racconta Berlusconi era al top della sua popolarità dopo quel gran discorso sull'antifascismo, calibrato al millimetro».
Nei sondaggi il premier volava a oltre il 75 per cento di media, ma proprio questo secondo molti, e tra loro lo stesso Berlusconi, scatenò contro di lui una strategia di attacco globale.
«Questo è tristemente sicuro. Ma c'è qualcosa da aggiungere. Il 25 aprile Berlusconi a Onna tiene quel grande discorso. E due giorni dopo gli viene la bella idea di presentarsi alla festa di quella ragazza. Dopo un po' di giorni il polverone sembrò cessare e Berlusconi riuscì in qualche modo a sfangare l'evento. A quel punto però doveva capirlo che era cambiata la strategia. Che da allora in avanti si sarebbero concentrati sulla sua vita privata. E c'è un'altra faccenda da ricordare a questo proposito».
Ce la dica.
«Siamo sempre nel 2009. Io e Gaetano Quagliariello veniamo invitati a cena da un alto esponente, diciamo paleocomunista, del Pd. Un importante e autorevole parlamentare di lunghissimo corso il cui nome tengo per me. Parliamo di riforme istituzionali, di leggi elettorali. E lui a un certo punto ci dice: occhio che per questa roba ci vuole stabilità politica. Io e Quagliariello gli facciamo presente che l'anno prima avevamo stravinto le elezioni, ma lui ribatte: Attenti. Sta per partire un'altra baracca. E vi faccio saltare sulla sedia, a questo giro non si parla più di corruzione, concussione eccetera. Si parla di prostituzione minorile. Ditegli di non andare tanto a Milano, di cambiare vita, di prendersi un avvocato e di stare molto attento. Questa conversazione accadeva alle 23.30 di un giorno che non ricordo, ma siamo più o meno in quel periodo lì. E il giorno dopo, alle 11, io e Quagliariello eravamo da Berlusconi col messaggio».
Quindi avete riportato l'allarme.
«Sì. E siamo stati respinti con perdite. Berlusconi ci ascolta e poi fa: Mi sorprende che due come voi diano retta a quel vecchio comunista, è tutta invidia. Si tratta solo di feste eleganti. Insomma, fummo mandati a quel paese. E dopo il nostro allarme Berlusconi di feste eleganti ne fece ancora decine, come ho ricostruito poi dalle carte dell'inchiesta che ebbi da Ghedini per lavorare alla seconda edizione del mio libro sull'uso politico della giustizia. E finì inevitabilmente nel mirino della magistratura e alla gogna mediatica proprio su questa storia qua, visto che da lì partì quest'altro filone».
Insomma, un'imprudenza che offrì il fianco all'offensiva che stava per partire.
«Esatto. Per raccontarcela tutta, questa imprudenza, aggiungo che io in quel periodo frequentavano la palestra dell'Hotel De Russie, e lì mi dissero che quello di Bari, Tarantini, portava lì la sera decine di queste fanciulle, e il giorno dopo partiva una specie di pulmino, e se ne parlava, si spettegolava, e tutti dicevano che erano dirette da Berlusconi. Insomma, gli hanno combinato un bel casino da Sud al Nord. E nel primo processo, al primo grado di giudizio, con Ghedini a capo del suo collegio difensivo, Berlusconi si raccomanda di spiegare che erano feste eleganti, irreprensibili, eccetera. Risultato: condanna a sette anni (ma poi il processo a Berlusconi è finito nel nulla, le intercettazioni vennero giudicate non utilizzabili, ndr). Ovviamente la strategia era sbagliata, considerato che nel pacco di intercettazioni che aveva in mano la procura c'erano commenti di ogni genere sulle ragazze. Finalmente, ben consigliato non so da chi, Berlusconi in appello ci va con Coppi e Dinacci. E Coppi, mentre va a fare la sua arringa, riceve una chiamata da Berlusconi che gli dice di insistere sulle cene eleganti. Coppi gli dice: Presidente, se un altro cliente mi avesse chiamato per dirmi che cosa dire, avrei già rimesso il mandato. Visto che si tratta di lei andrò lo stesso, ma dirò solo quello che ho in testa io. E sostanzialmente dice che quel che era successo era successo tra adulti consenzienti, e che quindi non c'erano gli estremi di un reato. Berlusconi viene assolto, ma è furioso con i suoi legali per non aver tenuto la linea».
Oggi, quasi tre lustri dopo quei fatti, con l'accresciuta attenzione alla tutela della privacy, questo sbirciare sotto le lenzuola, questa insistita violazione per provare a dare una spallata a un avversario politico sia sul fronte mediatico che giudiziario sarebbe possibile?
«È possibile tutto. Non mi sorprenderebbe affatto. In fondo su questa roba qua, magistrati e giornalisti ci hanno costruito carriere, per anni. Non è stata certo una bella pagina, però è doveroso dire che Berlusconi era ultra-avvisato di queste cattive intenzioni, e purtroppo ha sottovalutato. Quello che successe a ridosso del 25 aprile fu un enorme campanello d'allarme.
Noi glielo dicemmo, io glielo dissi. Non avendo sfondato su altri campi, dopo aver visto che godeva del consenso di tre italiani su quattro, avrebbero cominciato a frugare nella vita privata di Berlusconi. E lo hanno fatto».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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