Dopo le polemiche, arrivano le altre cifre sul Ponte sullo Stretto. A fronte di una spesa da 13,5 miliardi di euro, il cantiere avrebbe un impatto sul Pil da 23 miliardi di valore aggiunto, con 36,7 mila nuovi occupati a tempo pieno durante tutta la fase della realizzazione dell'opera, cioè circa otto anni. Uno studio di Open Economics, sui «primi esiti delle analisi costi-benefici» presentato ieri da Unioncamere Sicilia con la Camera di Commercio Palermo Enna, stima gli effetti diretti, indiretti e indotti sull'economia della spesa per il Ponte. Il report conferma «la rilevanza economica dell'opera». Gli effetti sul Pil per un valore di 23,1 miliardi derivano da un impatto diretto di 5,9 miliardi, grazie alla domanda di beni e servizi dei settori produttivi coinvolti nella costruzione, da un impatto indiretto sulla filiera da 3,8 miliardi, e da un indotto che vale 13,4 miliardi. Gli effetti positivi secondo l'analisi ricadrebbero, oltre che su Sicilia e Calabria, soprattutto su Lombardia, Lazio, Emilia Romagna e Veneto, e nei settori della manifattura, costruzioni, servizi. I 36 mila 700 occupati in più comporterebbero un gettito fiscale di 10,3 miliardi di euro, di cui 6,9 miliardi in tasse dirette (67%); 3,4 miliardi in tasse indirette (33%).
Sono numeri che allo stato possono sembrare arbitrari, visto che si tratta di proiezioni. Tuttavia, valori analoghi ha fornito il costruttore Webuild. Secondo il gruppo guidato da Pietro Salini, l'incremento atteso sul Pil 2,5 miliardi annui, con una generazione di extra entrate per l'Erario di circa 8 miliardi e a circa 1,6 miliardi per la rinuncia ai contenziosi in essere. Quanto alle unità di lavoro dirette e indotte si parla di circa 90 mila posizioni.
Intanto sul fronte Pnrr nuove tensioni tra Palazzo Chigi e la Corte dei Conti. Ieri fonti del governo hanno fatto trapelare «irritazione» per i rilievi mossi dalla magistratura contabile sulla gestione del Piano. In una memoria depositata alla Commissione bilancio della Camera, la Corte ha certificato la riduzione dei fondi per gli investimenti in sanità. Il riferimento è a 1,2 miliardi inizialmente destinati dal Piano complementare al Pnrr, per la messa in sicurezza degli ospedali, il cui finanziamento è stato spostato sui fondi per l'edilizia sanitaria dove però, per la Corte, «le risorse non sono già scontate nei tendenziali e richiederanno apposita copertura». La risposta ufficiale e piccata è arrivata dalla stessa premier Meloni: «Le risorse non sono state tagliate. Ho sentito dire un po' di tutto da quando siamo al governo - ha detto - In alcuni casi ho visto anche un lavoro fatto perché non ci venissero pagate le rate.
Sulla terza rata c'era un problema sugli studentati dove c'è stata una lunga trattativa con l'Ue, e mi sono ritrovata con una lettera della Cgil alla Von der Leyen per dire che l'obiettivo di prendere come ipotesi la possibilità di non pagare la terza rata. Non credo ci si debba comportare così in una Nazione che deve remare dalla stessa parte».
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