Era l'alba del nuovo millennio quando un allora oscuro ex funzionario del Kgb si affacciava alla scena internazionale diventando a sorpresa presidente della Federazione russa. Da quel 31 dicembre 1999 l'oscuro Vladimir è diventato lo Zar Putin e dopo 25 anni, di mollare il potere non ci pensa nemmeno. Il più longevo capo della Russia dopo Stalin ha studiato da despota riuscendo alla fine a compiere il suo intento: essere padre e padrone di un Paese che governa con il pugno di ferro. Omicidi politici, avversari eliminati, giornalisti zittiti e fatti fuori non bastavano più a tratteggiare il suo sogno di grandezza. E così, ecco la guerra. Dopo quelle create qua e là, ecco quelle reali. L'invasione dell'Ucraina, che contava di assoggettare in tre giorni, è il grosso punto interrogativo del suo futuro prossimo. Quello su cui Putin si giocherà quel pizzico di credibilità rimasta, almeno all'interno del suo Paese. Perché lontano dal Cremlino ormai la sua parola conta meno di zero. Non a caso i suoi consueti auguri di fine anno sono stati inviati, oltre che al Papa, solo ai leader che lo appoggiano e che con la Russia formano il ribattezzato «asse del male». Esclusi Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Giappone e Italia tra gli altri, a certificare quell'isolamento russo che lo Zar prova sempre a negare ma che è evidente nei fatti.
Dopo essere stato apprezzato prima e tollerato poi, ora Putin è il nemico pubblico numero uno dell'Occidente e il nuovo anno sarà decisivo per stabilire in che misura. Cedere alle sue condizioni su Kiev significherebbe legittimare l'azione di un tiranno e autorizzare nuove alzate di testa qua e là in Europa. Come del resto il suo apparato sta già facendo con quella guerra ibrida con cui Mosca influenza il voto, le opinioni e mette in pratica sabotaggi.
Contrastarlo, veramente, potrebbe però significare arrivare a uno scontro diretto che nessuno davvero vuole. Putin per primo. Il venticinquesimo anno di potere/regime di Putin, in ogni caso, sarà quello decisivo. In un senso o nell'altro. E magari sarà pure l'ultimo.
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