Colpi multipli alla testa e diverse ferite al torace. Così è morta Alessandra Matteuzzi, la 56enne uccisa a colpi di martello, mazza e panchina di ferro dall'ex compagno Giovanni Padovani, ora in carcere con l'accusa di omicidio aggravato dallo stalking. A confermarlo è l'autopsia sul corpo della donna, deceduta in ospedale due ore dopo l'aggressione a causa di un'emorragia dovuta allo sfondamento del cranio. Il peggior epilogo di un'escalation di violenza, brutalità e sottomissione che Alessandra subiva ormai da mesi. Non ne poteva più, la donna, che aveva prima sopportato il controllo ossessivo del 27enne durante la loro relazione e poi le minacce e gli agguati quando aveva deciso di lasciarlo. A rivelarlo fu lei stessa, il 29 luglio scorso, nella denuncia-querela presentata ai carabinieri per segnalare lo stalking dell'uomo: «Il nostro rapporto si basava sempre sull'invio da parte mia dei video che lui mi aveva chiesto e di videochiamate, ma questo non è bastato a frenare la sua gelosia, perché i dubbi sulla mia fedeltà non sono mai passati. Anche una semplice foto da me postata sui social e che inquadrava le mie scarpe appoggiate sul cruscotto dell'auto al rientro da una trasferta di lavoro era stata motivo di una sua scenata». Dopo i diverbi avuti già a inizio giugno con il compagno, Alessandra rivelava: «Tutte le volte in cui io ho accondisceso alle sue richieste è stato per paura di scatenare la sua rabbia. Alla luce di tutte le occasioni in cui è riuscito ad accedere al condominio dove abito, ho sempre timore di ritrovarmelo davanti ogni volta che torno a casa, o quando apro le finestre». Ma il calciatore aveva costruito una vera e propria gabbia intorno ad Alessandra, attraverso la quale riusciva a controllarla e manipolarla. A febbraio, ad esempio, la 56enne scopre che le password dei suoi profili erano state tutte modificate. «Sia le email che le password abbinate ai miei profili - raccontava agli inquirenti - erano sostituite con indirizzi di posta elettronica e password riconducibili a lui».
Non solo: «Anche il mio profilo Whatsapp era collegato a un servizio che consente di visualizzare da un altro dispositivo tutti i messaggi da me inviati. Ne ho quindi dedotto che nei giorni in cui era stato da me ospitato era riuscito a reperire tutte le mie email e le mie password che avevo memorizzato nel telefono». Quando, in piena estate, Alessandra si allontana da lui e smette di rispondere al telefono, l'incubo diventa sempre più vicino: trova lo zucchero nel serbatoio dell'auto e le gomme tagliate, lui le ruba le chiavi di casa. Poi, lo stalker parte alla volta di Bologna portando con sé un martello.
Prima di allora - rivela Matteuzzi ai carabinieri - non c'erano comunque mai state aggressioni fisiche. Solo una volta il 27enne aveva spintonato la compagna facendola cadere su un letto, in Sicilia. A metà luglio, quando i due avevano avuto un riavvicinamento dopo un periodo di crisi, «è stato più volte aggressivo nei miei confronti, non ha mai usato violenza fisica, sfogando la sua rabbia, sempre dovuta alla gelosia, con pugni sulla porta». Parole che pesano come macigni, quelle pronunciate dalla vittima pochissime settimane prima l'efferato delitto, e che continueranno ad alimentare polemiche sull'effettivo funzionamento della macchina della giustizia.
«Era una bella persona: forse è stata proprio questa bontà che non le ha permesso di vedere il diavolo che aveva davanti. E quando se ne è accorta ed è andata a fare la querela, era tardi», ha commentato Sonia Bartolini, cugina di Alessandra.
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