La pressione su Hamas e un messaggio all'Iran. La forza di Bibi (e Trump)

L'appoggio della Casa Bianca contro il nemico. E per il rilascio dei sequestrati

La pressione su Hamas e un messaggio all'Iran. La forza di Bibi (e Trump)
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Arafat una volta disse alla cronista: il deserto cambia continuamente di forma, ma la sabbia resta sempre la stessa in quantità e qualità. Parla, come sempre, della sabbia della guerra e del terrorismo. Difficile dire se siamo di fronte all'apertura dei «cancelli dell'inferno» che Trump ha minacciato, ma certo si disegna uno scenario che scavalca i confini della guerra che Israele affronta di nuovo nella Striscia. Riappare la necessità di combattere su più fronti l'odio che ha avuto il suo apice il 7 ottobre, ma che conta su un vasto arco di nemici di Israele che gli promettono la morte. Mentre Israele torna a combattere, suonano le sirene, ieri, per un missile proveniente dallo Yemen, 2mila chilometri di distanza. Gli Houthi da quando si è concluso il cessate il fuoco attaccano, mentre la Siria, il Libano sono ben lontane dall'essere quiete. L'Iran getta su tutto la sua ombra. Israele lo sa: deve combattere fino a sgominare il pericolo mortale. La novità: Trump gli guarda le spalle e non solo, finalmente identifica Israele non come un problema, alla Biden, ma come l'unica forza positiva. Ma prima dello scenario internazionale, lo sguardo su queste tre settimane mostra uno stillicidio di proposte da parte dei mediatori israeliani e di Steve Witkoff, incaricato di Trump, dopo la gaffe di Bohler, di portare Hamas a rilasciare qualche ostaggio anche dopo la conclusione della prima fase dell'accordo che per un miracolo di pazienza ha portato a casa 27 esseri umani distrutti, ma vivi. È la volta di cercare di trattare per tre, per cinque, per uno, senza entrare nella seconda fase che Netanyahu rifiuta, perché prevede che Hamas in sostanza resti a Gaza armato, al potere, a ripristinare il suo progetto di distruzione dello Stato Ebraico, come ripete di voler fare e come scritto nella sua carta. Tuttavia Hamas dice di no, vuole che Israele gli consegni la pace che lo lascia al potere.

Ma sullo sfondo, avviene qualcosa: gli Houthi reagiscono all'embargo su Gaza con attacchi missilistici contro Israele che vanno in parallelo col blocco del Mar Rosso e 160 attacchi a navi americane che gli Stati Uniti non possono accettare. Questo, mentre lo sponsor degli Houti, l'Iran, si rifà vivo sotterraneamente in Siria, in Irak, nel West Bank, con gli Hezbollah. Israele blocca con l'esercito la situazione di aggressività plurima con una presenza sia diplomatica che militare mai vista prima, affronta anche il rischio di un nuovo Isis in Siria. Trump dunque prende la sua posizione sugli Houthi andando molto oltre: da questo momento ogni loro azione di guerra verrà considerata, diretta responsabilità iraniana: «Nessuno ci caschi» dice Trump nel suo tweet «la sinistra gang di delinquenti basati in Yemen e odiati dalla gente sono stati creati e mantenuti dall'Iran che fa la vittima innocente dicendo che ha perso il controllo dei terroristi... ma non è vero, dettano ogni mossa e forniscono loro le armi... l'Iran verrà ritenuto responsabile... e le conseguenze saranno terribili. È chiaro che gli stessi concetti valgano per il rapporto dell'Iran con tutti i proxy: Hamas, Hezbollah. Da Hamas all'Iran, la sabbia cambia forma, la sostanza è la stessa: terrorismo, e anche pericolo atomico per quel che riguarda gli ayatollah. Certo Trump non ha dimenticato che la sua proposta di parlare, di recedere dalla costruzione della bomba, è andato inascoltato e anzi respinto con minacce. La resa dei conti può essere vicina.

Più chiara di tutte, mentre ancora si cerca di imporre ad Hamas di cercare una via d'uscita restituendo i rapiti, la portavoce di Trump che ha detto: «Gli attacchi sono coordinati con noi, il presidente non ha paura di stare dalla parte del nostro amico e alleato». Il seguito, in queste ore.

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