Ma il primo rischio è l'effetto Argentina

Brasilia teme l'inflazione record e la disoccupazione del vicino

Ma il primo rischio è l'effetto Argentina

Il Brasile si sta argentinizzando? La domanda è lecita visto che il primo presidente al mondo incontrato da Lula sia stato l'argentino Alberto Fernández, che domenica notte, appena resi noti i risultati, si è fiondato a San Paolo del Brasile (nella foto i due leader).

Ieri i due hanno pranzato all'Hotel Intercontinental di Alameda Santos, una via parallela di Avenida Paulista, il centro finanziario dell'America Latina. Dopo una riunione a porte chiuse tra il gotha del governo argentino e quello del futuro esecutivo brasiliano, Fernández ha dichiarato: «Tutto il mio amore, ammirazione e rispetto, caro compagno. Abbiamo un futuro che ci abbraccia e ci convoca». Poi ha aggiunto: «La tua vittoria apre una nuova era per la storia dell'America Latina. Un tempo di speranza e futuro che inizia oggi. Qui hai un partner con cui lavorare e sognare il benessere dei nostri popoli». La speranza di molti brasiliani, anche di tanti che hanno votato Lula, tuttavia, è che il loro futuro, soprattutto quello economico, non sia neanche lontanamente simile a quello degli argentini, alle prese con un'inflazione che chiuderà il 2022 oltre il 100%, una povertà infantile che è al 51% e una valuta, il peso, che in un anno ha perso nei confronti del real brasiliano il 400% del suo valore sul mercato nero (a Buenos Aires il cambio ufficiale è controllato, come in Venezuela). Il rischio che però, questo Lula ter, faccia danni sul fronte economico, nonostante i 600 miliardi di dollari di riserve di Brasilia, un'inflazione che si prevede chiuderà il 2022 al 5,7% (meno della metà di quella italiana), un debito pubblico sceso al 71% del Pil e una disoccupazione ai minimi dal 2015, il primo anno del secondo disastroso mandato della sua delfina Dilma Rousseff, è concreto.

E proprio per quanto riguarda il suo prossimo ministro dell'Economia, il neo presidente si è rifiutato di anticipare il nome durante la campagna elettorale, nonostante le pressioni del mondo finanziario, perché se per lui creare una squadra di governo è «come scegliere i migliori giocatori per una nazionale», sarebbe stata una «follia» rivelarlo prima della vittoria. Ora che la vittoria è arrivata sembra esserci una lotta tutta interna al PT, il Partito dei Lavoratori di Lula, proprio sulla scelta del nome e, di conseguenza, sulla linea economica che adotterà il prossimo governo verde-oro. L'ex presidente della banca centrale Henrique Meirelles, considerato il candidato in grado di calmare i mercati, nonostante abbia fatto campagna a sostegno di Lula, ha infatti dichiarato al sito di informazione brasiliano Metropoles, poche ore dopo il voto di domenica, di aver preso le distanze dalla «lettera del Brasile del futuro» diffusa lo scorso 27 ottobre dall'entourage del PT in cui Lula aveva promesso «responsabilità fiscale e sociale» senza ulteriori dettagli. «Ho scoperto la lettera dopo che è stata pubblicata», ha commentato seccamente Meirelles. Dietro quella lettera c'è uno degli strateghi economici della campagna di Lula, Aloízio Mercadante, ex ministro dell'Istruzione ed ex capo dello staff della presidenza nei due governi Rousseff. Oggi presiede la Fondazione Perseu Abramo, braccio accademico del PT, ed è legato all'ala più radicale rappresentata dal filo-cubano José Dirceu, ex capo di gabinetto della presidenza nel primo governo Lula, condannato per corruzione e riciclaggio a 27 anni. Il passo indietro di Meirelles conferma un rapporto interno della banca statunitense Citibank secondo il quale non lui ma un uomo di partito doc come Alexandre Padilha è il candidato più probabile alla guida del ministero dell'Economia, che tra l'altro sarà spacchettato in quattro ministeri.

Padilha, medico, ex ministro della Sanità di Rousseff è un candidato al pari di altri tre fedelissimi come l'ex sindaco di San Paolo Fernando Haddad, il todo poderoso Jaques Wagner e Wellington Dias, senatori rispettivamente di Bahia e del Piauí.

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