«Riconosco che da un punto di vista di estetica istituzionale si trattò di operazione non elegante ma comunque attuata in buona fede e mi dichiaro disponibile a mettere a disposizione dette somme»: così Paolo Romani, senatore uscente ed ex capogruppo di Forza Italia, aveva commentato nel luglio scorso la inchiesta della Procura di Monza, che lo accusava di peculato per essersi impossessato di una parte dei fondi pubblici destinati al gruppo azzurro a Palazzo Madama. Ieri, senza aspettare la restituzione spontanea, i pm del capoluogo brianzolo sequestrano a Romani beni per quasi 350mila euro: in parte contanti depositati su due conti correnti, per il resto una villa nel piccolo centro di Cusano Milanino.
L'indagine della Procura di Monza era stata determinante per la fine della decennale carriera parlamentare di Romani: che nel frattempo aveva lasciato Forza Italia per schierarsi con «Italia al Centro» di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, dove non era stato nemmeno candidato alle ultime elezioni. Alla base delle contestazioni formulate dal procuratore Claudio Gittardi e dalla pm Franca Macchia, una serie di operazioni compiute da Romani utilizzando i conti correnti ufficiali. Operazioni che per Romani pare costituissero la compensazione per spese anticipate personalmente. Ma è una giustificazione di cui lo stesso senatore coglieva la fragilità di fronte alle modalità del tutto irrituali con cui le presunte «compensazioni» risultavano effettuate. Così la difesa nei mesi scorsi si era concentrata sulla qualificazione giuridica del reato: sostenendo che una volta assegnati al gruppo di Forza Italia i soldi non appartenevano più al Senato ma al partito, e quindi la loro distrazione poteva al più costituire una appropriazione indebita. Inoltre, secondo la memoria difensiva corredata dal parere di un costituzionalista, la competenza a vigilare sull'utilizzo dei fondi competeva al Senato e non alla magistratura ordinaria.
Nessuna delle due tesi a quanto pare ha convinto la Procura monzese, che ieri ha deciso di giocare d'anticipo pignorando i fondi di Romani, suscitando la reazione polemica dei difensori dell'ex azzurro, Daniele Benedini e Gianmarco Brenelli: «Il senatore Romani aveva già preannunciato che per puro scrupolo cautelativo, avrebbe posto a disposizione della Procura la somma ipotizzata come di appropriazione illegittima. Soltanto difficoltà procedurali di autorizzazione bancaria, finalmente ottenuta in data 28 settembre, si erano frapposte all'adempimento a garanzia che il senatore si era formalmente impegnato a depositare durante le sue dichiarazioni avanti il pm. Nulla di nuovo dunque circa un sequestro che semplicemente anticipa l'adempimento spontaneo preannunciato sin dallo scorso luglio dal senatore Romani e oggi inutilmente pubblicizzato e così inevitabilmente enfatizzato».
A Romani i pm contestano quattro assegni per un totale di 81mila euro versamenti diretti dal conto del Pdl ai propri conti personali, oltre a un bonifico da 180mila euro all'imprenditore Domenico Pedico, che avrebbe provveduto poi a rigirarli quasi per intero all'amico senatore.
A propria discolpa, Romani aveva citato anche l'evoluzione dello scenario politico: a rendere necessaria una più intensa attività del gruppo parlamentare, comprese cene e altri impegni, era stato il «Patto del Nazareno» stretto tra il leader Silvio Berlusconi e l'allora segretario del Pd Matteo Renzi.
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