Sono ore di attesa per Giovanni Toti. Domani la decisione del giudice per le indagini preliminari sulla richiesta di revoca degli arresti domiciliari, misura a cui è sottoposto ormai da oltre un mese con l'accusa di corruzione. L'avvocato del governatore, Stefano Savi, ha depositato l'istanza in Procura ritenendo che non sussistano più i presupposti delle esigenze cautelari, visto che uno degli elementi, il rischio di reiterazione del reato, era stato individuato anche nelle elezioni europee, ormai concluse e a cui per altro Toti non partecipava nemmeno. Non è solo questo. Anche il fatto che i pm abbiano concluso nelle ultime settimane gli interrogatori di indagati e testimoni considerati centrali nelle indagini, farebbe decadere anche l'altro presupposto, il rischio di inquinamento delle prove. Del resto il governatore ritiene di aver chiarito tutto nell'interrogatorio di oltre otto ore in cui aveva risposto a tutte le domande dei magistrati. Ora spera di poter tornare a fare il presidente della Regione: «Occorre tener conto - spiega l'avvocato Savi - del giusto equilibrio costituzionale tra tutela del processo, tutela della volontà popolare e necessità amministrative della Regione».
In vista della decisione del giudice, anche la Procura depositerà il suo parere. E, da quel che trapela, sarebbe orientata a dire di no alla revoca degli arresti. Secondo i pm, il quadro del procedimento non sarebbe mutato rispetto al 7 maggio, quando è scattata la detenzione domiciliare di Toti. Se tornasse a fare il governatore potrebbe, agli occhi dei magistrati di Genova, inquinare le prove o reiterare il reato. Entrambi rischi esclusi dal legale nella sua istanza. Un parere negativo, spiega Savi, significherebbe però che «il ritorno in carica del presidente verrebbe considerato ex ante come elemento determinante per la previsione di nuovi reati e per l'inquinamento probatorio. Cioè si tradurrebbe in una sospensione dall'incarico, trasformandolo di fatto in decadenza già nella fase delle indagini, cosa non prevista dalla legge». Il gip ha già detto di no alla revoca sia all'84enne Aldo Spinelli, il presunto corruttore, che resta ai domiciliari, sia a Paolo Signorini, ex presidente dell'autorità portuale, che rimane in carcere. L'unico in cella nel caso ligure.
Ieri è stato sentito in Procura per un paio d'ore un altro testimone illustre. L'armatore di Msc Gianluigi Aponte, socio di Spinelli nella società che gestisce il Terminal Rinfuse nel porto di Genova. Aponte non è indagato ed è stato ascoltato come persona informata sui fatti. Per i pm il rinnovo della concessione del Terminal Rinfuse a Spinelli sarebbe stato oggetto di un presunto scambio corruttivo: Toti avrebbe caldeggiato quella proroga in cambio di 74mila euro di finanziamenti - tutti trasparenti e leciti - da Spinelli ai suoi comitati elettorali. Ma il governatore ai pm ha negato l'esistenza di qualsiasi nesso tra le erogazioni e il suo interessamento.
Ha spiegato che quel rinnovo andava sbloccato nell'interesse pubblico del porto. I bonifici tracciati, poi, dimostrano «la volontà di seguire pedissequamente la legge per le elargizioni liberali», ricorda il legale. Toti spera ora nella libertà.
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