Scesi in campo in tandem, mettono nero su bianco ciò che pensano di Raffaele Fitto e Teresa Ribera: promossi entrambi. Romano Prodi e Mario Monti, insieme, provano così ad accendere i motori della nascitura Commissione europea blindando una squadra appesa a un filo. C'è infatti un serrato conto alla rovescia per superare i veti delle due famiglie politiche che dominano l'Europarlamento: il 27 novembre si vota in plenaria sul bis di von der Leyen. E l'appello congiunto dei due grandi vecchi volti italiani dell'Europa si rivolge tanto agli eurosocialisti (S&D) quanto ai popolari (Ppe), con cui entrambi hanno lavorato: «Davanti a candidati qualificati come Ribera e Fitto, non prevalgano le tensioni intestine, in particolare tra i gruppi considerati più europeisti». A Bruxelles dovrebbero dar l'esempio e stanno invece litigando da giorni sul nulla. Una parte degli eurosocialisti non digerisce che Fitto, oltre ad essere Commissario con delega al Pnrr, abbia pure un ruolo di super-governo con la vicepresidenza esecutiva della Commissione; secondo alcuni «pasdaran», la presunta connotazione ideologica sarebbe un ingombro perché pretendono che la destra conservatrice stia fuori dalle politiche Ue. Una parte del Ppe vorrebbe invece far fuori Ribera, vicepresidente scelta come Fitto da von der Leyen seguendo il criterio dell'importanza dei Paesi e non l'appartenenza politica. Ma lo stallo non serve a nessuno. Fitto ieri è volato a Bruxelles per incontrare la Commissione Regi che deve approvare la sua nomina. Limature post-audizione. Prodi e Monti, oltre a scansare ogni dubbio sulla capacità dei due designati, usano il grimaldello della politica estera per scardinare i niet socialisti che temono lo scivolamento a destra del Ppe (smentito però dai numeri e dalle dichiarazioni ufficiali). «Proprio quando i cambiamenti nella politica americana ci obbligano a costruire un'Europa più forte e coesa», si litiga, tagliano corto invitando a stoppare i piagnistei. «Altrimenti il mondo intero guarderebbe all'Europa con derisione». A Bruxelles si nota il silenzio radio del Pd, principale delegazione dentro i socialisti Ue ma silenti su Fitto. Dopo l'endorsement di Mattarella che ha ricevuto il ministro italiano al Quirinale facendogli gli auguri, tocca dunque al tandem dei grandi vecchi sferzare i gruppi che tengono in ostaggio la partenza del von der Leyen bis. Entrambi ex premier, l'uno già presidente della Commissione europea, l'altro ex pluricommissario (due volte) nei «governi» Ue, chiamano al realismo e non all'eterno duello: stringere i bulloni per non rischiare la crisi istituzionale. «Il voto del Parlamento Ue è essenziale nel processo democratico, se però diventa un modo per scaricare sull'Europa regolamenti di conti tra partiti, perdono di credibilità sia la politica sia l'Europa». Un suicidio, insomma, tenere in ostaggio profili su cui da luglio c'è un accordo solo perché i socialisti non gradiscono un esponente della destra mentre i popolari iberici vogliono boicottare Ribera provando a incastrarla in responsabilità di governo in Spagna sulle alluvioni. Ex premier in pressing. Sferzata a 4 mani nelle stesse ore in cui a Bruxelles si sono incontrati i capigruppo delle tre forze che formano la maggioranza Ursula bis; inclusi i liberali di Renew, aperti al 90% a Fitto. Chiedono un patto sul perimetro dell'azione.
Ma la voce che più conta è «nazionale», del premier spagnolo socialista Sánchez: ha visto Ursula in Brasile ipotizzando un sì bipartisan a Fitto e Ribera con «un patto scritto di coalizione»; chiedendo cioè l'impegno della Cdu tedesca a non collaborare strutturalmente con le destre, Ecr di Meloni in primis, per sbloccare l'impasse. E forse la telenovela finirà proprio così.
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