Il programma in 10 punti "Ma non cerco la leadership"

La ricetta dell'ex candidato a Milano per riportare il partito tra la gente e recuperare i voti finiti ai grillini

Il programma in 10 punti "Ma non cerco la leadership"

A vanti, c'è posto per tutti, nella Casa Lib-Pop. Architettura liberale con venature «pop»: secondo il progettista Stefano Parisi, questo è il mix che può accontentare ed accogliere ogni anima perduta del centrodestra, fornirle mezzi e il conforto di un recinto moderato, così da accedere al giardino del potere. Un potere che rinnovi l'Italia. Sempre sotto la guida del Cav, naturalmente; padrone delle fondamenta e committente del progetto.

Forse è proprio la figura di un politic manager quella che mancava al centrodestra, il ruolo del «federatore esterno», quasi il papa straniero della sinistra pre-Renzi (poi se ne sono pentiti, ma quella è un'altra storia). Un uomo capace di riorganizzare, includere e unire, facendo in qualche modo le veci di Berlusconi. Parisi, dunque, è l'homo novus del quadro politico: bravissimo a ribaltare in vittoria quella che pur sempre è stata una sconfitta, e in queste ore a fronteggiare con modestia chi cerca di opporre un muro all'unico schema, il cosiddetto «modello-Milano», capace di ridare fiato al blocco sociale di maggioranza nel Paese. Il tatto e la sagacia di Parisi cominciano a intimorire davvero i «colonnelli». L'uomo è dinamico e prudente. La proposta di «coordinatore», spiega lui a Omnibus su La7, «mi è stata fatta, ma non sono neppure iscritto a Forza Italia, come faccio a fare il coordinatore? E poi serve il consenso interno... Non è una questione personale o di nomi, non voglio rubare il posto a nessuno, ci mancherebbe altro». Parisi sceglie le parole e i toni migliori: conferma di essere «a disposizione», e di non voler «asfaltare proprio nessuno». Non sono per la rottamazione, «né posso essere visto come uno che mette giù il napalm per ammazzare tutti: guardi Renzi... quel tema non lo ha ancora risolto». La credibilità non è mandar via tutti, afferma, «il nuovismo non serve». Il tema della leadership proprio non appassiona Parisi, che così sfila via anche dalla querelle-primarie: decidano loro, dice da esterno di lusso. «A me importa rifondare il blocco sociale del centrodestra»: dentro tutti, nessuno escluso, ciascuno con le proprie ragioni e con la propria identità che significa con idealità simili ma «livelli di radicalità differenti». C'è bisogno di ognuno, e lui non dimentica nessuno: da Salvini ad Alfano, passando per il malpancista Toti. Ancor di più c'è però bisogno di un centro di gravità ed equilibrio permanente, dunque di una nuova Forza Italia; nome diverso, organizzazione e spirito rimodulati: giovani e web, passionalità che sappiano ricalcare quelle del M5S (molti voti sono finiti lì, spiega). Ci vogliono le basi per una «piattaforma liberal-popolare», un partito che proponga «un'offerta di governo, non dei no e basta». Ogni critica deve essere «credibile, e sostenibile dal punto di vista della finanza pubblica». Anche per il «no» al referendum, Parisi dimostra di avere idee chiare (quelle che dovrebbero animare una Convention delle idee a settembre): «Renzi ha inciampato nella rottura di un dialogo, e non doveva lasciare che accadesse, perché le riforme si fanno assieme». La strada maestra è quella di un prossimo Senato che si faccia Assemblea Costituente.

Il «no» al referendum dovrà perciò essere un «no qualificato, sulle tante cose che non vanno, non per cacciare Renzi». Se accadesse, però, poco male: «Se ne farà un altro». Non ci vorrà poi molto, a farsene una ragione e dismettere il lutto.

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