"Una provocazione". Tutti i dubbi Nato sulle mosse di Putin e il ruolo di Orbán

Palazzo Chigi: un altro crimine di guerra. Quel filo diretto tra l'ungherese e Trump

"Una provocazione". Tutti i dubbi Nato sulle mosse di Putin e il ruolo di Orbán
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Mentre molti dei leader dei 32 Paesi membri dell'Alleanza atlantica sono già in volo per partecipare al 75° vertice della Nato che si aprirà oggi nella capitale statunitense, Vladimir Putin decide di intensificare la sua guerra di aggressione all'Ucraina con un violento attacco missilistico su Kiev. Una coincidenza non causale, visto che il principale tema in agenda del vertice di Washington cui parteciperà anche Volodymyr Zelensky - è proprio il sostegno militare all'Ucraina, con un piano in cinque punti annunciato dal segretario generale uscente dell'Alleanza, Jens Stoltenberg, che prevede la creazione di un nuovo comando per la gestione degli aiuti militari a Kiev che avrà sede in Germania, conterà circa 700 militari e farà da centro logistico e di addestramento per le forze di Kiev.

Alla vigilia del summit, dunque, il messaggio che arriva da Mosca è chiaro. E il timore di parte della diplomazia europea è che sia indirizzato soprattutto a quei leader dell'Ue che sul sostegno all'Ucraina non mancano di nascondere i loro dubbi. Nonostante l'indebolimento di Emmanuel Macron, il risultato delle legislative francesi e il flop del Rassemblement national (da sempre molto sensibile alle sirene di Mosca, per non parlare del fatto che fino a un paio di anni fa nel programma di Rn c'era l'uscita dal comando integrato dell'Alleanza) hanno fatto rientrare i timori sulla Francia. Ma restano i distinguo della Bulgaria e del premier della Slovacchia, Robert Fico. Per non parlare di Viktor Orbán, primo ministro ungherese e presidente di turno dell'Ue, che negli ultimi giorni ha incontrato non solo Zelensky ma anche Putin a Mosca e Xi Jinping a Pechino. Un fronte che preoccupa non poco la diplomazia dell'Ue e dell'Alleanza, anche in vista di una possibile vittoria di Donald Trump alle presidenziali di novembre. Non è un caso che a Bruxelles gli ambasciatori degli Stati membri, riuniti nel Coreper, siano intenzionati a chiedere spiegazioni alla presidenza ungherese dei recenti viaggi a Mosca e Pechino e del ruolo di presunto «mediatore per la pace» che Orban si è «auto-attribuito». Dubbi che tra i diplomatici della Nato arrivano a immaginare un filo diretto tra Orbán e Trump, con il premier ungherese che di fatto si starebbe muovendo anche a nome di The Donald in vista di un suo ritorno alla Casa Bianca. Che il tycoon repubblicano teorizzi un disimpegno e un ruolo meno attivo della Nato, infatti, non è un mistero. E non è passato inosservato l'assist che gli ha lanciato Orbán in un'intervista alla tedesca Bild («ho fiducia in Trump, un uomo di pace»).

La posizione italiana sul conflitto tra Russia e Ucraina resta invece fortemente atlantista e filo-Kiev. E sarà ribadita ancora una volta al vertice Nato dalla premier Giorgia Meloni, atterrata nella tarda serata di ieri a Washington. Già ieri è stato durissimo il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, che ha definito l'attacco missilistico su Kiev che ha colpito l'ospedale pediatrico di Okhmatdyt un «ignobile crimine di guerra» che «si aggiunge alla lunghissima serie di crimini del regime putiniano», una «barbarie» che «merita la più ferma condanna». E parole molto simili le hanno usate il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani e il titolare della Difesa Guido Crosetto, che accompagnano Meloni al vertice Nato. A Washington, peraltro, sono presenti anche i presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, che parteciperanno al panel «Nato Parliamentary Summit» (Fontana avrà anche un bilaterale con Mike Johnson, speaker della Camera dei rappresentati degli Stati Uniti, mentre La Russa vedrà Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite).

Sul tavolo del 75° vertice dell'Alleanza, dunque, ci sarà soprattutto la questione Ucraina. Modulata su due diverse direttrici. La prima è quella di un'eventuale risposta Nato all'attacco di ieri, che viene considerato come una «provocazione» alla vigilia del summit («uno schiaffo deliberato all'Alleanza atlantica», dice Kiev). E sul tavolo c'è l'ipotesi di intensificare ulteriormente la difesa aerea ucraina con un'intesa su nuove forniture di sistemi missilistici. La seconda è il ruolo sempre più ambiguo di Orbán. Che da ieri milita nel terzo gruppo del Parlamento europeo dopo Ppe e S&D. I Patrioti - dove siedono anche il Rassemblement national di Marine Le Pen e la Lega di Matteo Salvini - arrivano infatti a 84 membri e scavalcano i Conservatori di Ecr (fermi a 78 e ora quarto gruppo).

E non è un caso che la grande distanza tra Patrioti ed Ecr sia proprio sull'Ucraina, con i primi molto sensibili alle ragioni di Mosca. Un punto su cui i Conservatori di Meloni non hanno mai concesso spazio ad alcuna ambiguità, tanto da far firmare una dichiarazione di sostegno a Kiev ai nuovi parlamentari arrivati.

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