Punita per un ceffone. Se lo Stato condanna chi vuole educare i figli

La 12enne manda foto osé a uno sconosciuto, la mamma le dà uno schiaffo. Un anno e 7 mesi di pena

Punita per un ceffone. Se lo Stato condanna chi vuole educare i figli
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In una situazione tutta sbagliata, lo schiaffo era l'unica cosa giusta. C'è una famiglia di Roma alla quale manca qualche pezzo, che versa nel degrado e nel caos, una figlia dodicenne (chiamiamola Camilla) costretta ad occuparsi dei fratellini più piccoli, una nonna (peraltro ormai scomparsa) che bada a se stessa in qualche modo, una mamma (le sue iniziali sono B.C.) di 40 anni, che tira avanti come può. E ci sono i servizi sociali, ovviamente. Che si innestano nella dinamica famigliare nel 2012 quando, a loro dire, sarebbero iniziati i maltrattamenti della mamma sulla ragazzina. Sembra che B.C. rimproverasse la figlia per non aiutarla a sufficienza nelle vicende domestiche e pare che le liti tra le due fossero all'ordine del giorno e che Camilla versasse in una condizione di disagio psicologico per le angherie della mamma. Una situazione orrenda, come si diceva. Ma folle è anche il «pretesto» con cui i giudici hanno deciso di condannare la donna a un anno e sette mesi di reclusione (la pena è stata sospesa a favore di un percorso di recupero) per l'accusa di maltrattamenti. Risale al 2016 (ma Camilla ha trovato il coraggio di denunciare l'accaduto solo nel 2019) lo schiaffo che la madre ha assestato alla figlia dopo aver scoperto che la ragazzina aveva inviato sue foto osè a uno sconosciuto di diciannove anni. Non si sa come quel giorno a B.C. sia venuto in mente di controllare il profilo Instagram della figlia, sta di fatto che scorrendo il cellulare ha scoperto le immagini inviate. Ha iniziato a urlare, a pronunciare parole «umilianti» secondo i servizi sociali e i giudici, all'indirizzo della ragazzina e infine le ha rifilato un ceffone così forte da ferirle il mento. Ora, è evidente che non siamo qui a fare l'elogio del schiaffo, specie quando è piazzato talmente forte da procurare un'escoriazione. Ma sinceramente ci sembra l'intervento più sano che sia uscito da quella situazione malsana. Specialmente in mezzo a quel degrado, delle foto simili spedite da un cellulare avrebbero potuto passare in sordina, non scandalizzare più di tanto, essere drammaticamente sottovalutate. La rabbia della madre, invece, è stata una reazione di spavento scomposto ma anche di protezione. È stata la reazione che qualunque genitore terrorizzato avrebbe potuto avere in un mondo in cui ogni giorno se ne legge una quando non sono tre: stupri, branchi, aggressioni, revenge porno... Scoprire che una bambina di dodicenne, la tua bambina, tua figlia, ha talmente frainteso tutto da mettersi potenzialmente nelle mani di un orco reale o virtuale, spaventa così tanto, lascia talmente disarmati da giustificare un'aggressione di impotenza. E stupisce che lo Stato sia tanto scisso, doppio, bifronte da avere da un lato la pretesa di educare i genitori ad educare (attraverso la scuola e le istituzioni) e dall'altro da punire (attraverso i giudici), quegli stessi genitori che tentano di imporsi sui figli. Due Stati in uno che non sono in grado di parlarsi e di conciliare le loro anime e le loro missioni.

Il dl Caivano, il parental control gratuito sui cellulari, la sensibilizzazione contro le baby gang e poi non trova modo migliore per «ripulire» una famiglia infelice che condannare l'unico gesto diretto nella direzione giusta. Ci sembra impossibile educare finché si è disorientati.

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