Tutto quello che esce dal Cremlino va filtrato, soppesato, misurato e solo poi valutato. Quello che viene venduto come verità, troppo spesso nasconde una menzogna oppure una dichiarazione di puro interesse strategico. Ecco perché le parole della portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova, una più realista del re che mai parla per caso, vanno prese con le pinze. «Siamo grati a tutti i Paesi, a tutti gli Stati e a tutte le figure pubbliche, a tutti coloro che parlano di pace e che vogliono rendersi utili. Ci sono idee interessanti che possono funzionare», ha detto la sempre solerte portavoce. Il che non significa che la pace si avvicini.
Zakharova, infatti, ha specificato che «ci sono idee che sono in sintonia con i nostri approcci», accusando poi Zelensky di averle invece affossate sulla spinta degli Usa. Falso. Perché tutte le soluzioni di «pace» cui il Cremlino non ha detto un secco «niet» sono state quelle che confermavano lo status quo, ovvero le annessioni rivendicate da un anno di guerra di invasioni e sancite da referendum farsa. Condizioni, ovviamente, non accettabili per l'Ucraina, che pone come base di trattativa il ritiro delle truppe russe, e nemmeno per l'Occidente che in questo modo legittimerebbe invasioni e aggressioni di ogni tipo. Non solo russe. Inoltre, è evidente che dopo 15 mesi di conflitto, ora che la Russia si trova in condizioni di difficoltà e isolamento (a prescindere da quanto sostenga Putin) e che la controffensiva ucraina inizia a dare i primi risultati, Kiev non abbia interessi concreti a sedere a un eventuale quanto finora fittizio tavolo di trattative. «Consentire qualsiasi negoziato con la Russia ora che l'occupante è sulla nostra terra significa congelare la guerra, il dolore e la sofferenza», ha ribadito Zelensky.
In questo clima, dopo Kiev, la delegazione dei leader africani è arrivata ieri a San Pietroburgo per incontrare Putin. Con il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa a guidare la missione, c'erano anche quello del Senegal Macky Sall, delle Isole Comore Othman Ghazali, dello Zambia Hakainde Hichilema e il primo ministro egiziano Mostafa Madbouly oltre a una rappresentanza di Uganda e Congo. L'accoglienza dello Zar è stata differente. «Accogliamo con favore l'approccio equilibrato degli amici africani alla crisi ucraina - ha detto Putin - Siamo aperti a un dialogo costruttivo con tutti coloro che vogliono attuare la pace sulla base dei principi di giustizia e di rispetto degli interessi legittimi delle parti», accusando poi Kiev di aver gettato «nell'immondizia» un fantomatico accordo di cessate il fuoco raggiunto a Istanbul nel marzo 2022. Ma la narrazione per cui Putin è bravo e buono e gli altri cattivi inmplode quando lo stesso Zar spiega «riconoscere le regioni annesse è un diritto della Russia» che anzi, a livello di diritto internazionale si è mossa «in maniera impeccabile». Chiaro quindi che su queste basi non possa esistere una trattativa e fa intendere come anche l'idea di pace africana sia sbilanciata a favore della Russia. Altrimenti, altro che apertura. Quello africano sarebbe un piano in dieci punti non meglio specificato.
Se i tentativi di mediazione, da parte della Cina prima e dei Paesi africani ora, sembrano poco praticabili, resta in piedi soltanto quella della chiesa. In questo senso, il fondatore di Russia Ecumenica don Sergio Mercanzin, apre uno spiraglio. «Sembra che le autorità religiose, cattoliche e ortodosse, si stiano finalmente muovendo di concerto. E che quindi il Papa non si muova più da solo, ma in sinfonia. Questa potrebbe essere la vera novità: se si mettono d'accordo le religioni, potrebbe essere più facile arrivare alla pace», ha detto. Ipotesi praticabile, visto anche chi è in campo.
L'inviato del Papa in Russia e Ucraina, il cardinale Matteo Zuppi, ha un passato di straordinari successi diplomatici (vedi pace in Mozambico) e conta su una fitta rete di rapporti consolidati, anche con il patriarca ortodosso Kirill. La speranza, passa da qui.
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