Romano Prodi, chi è costui? E perché il premier Giorgia Meloni ha deciso di attaccarlo frontalmente? La risposta non è ovvia ma affonda le sue radici nella storia recente di questo Paese, del suo destino legato alle spartizioni decise altrove sin dal Dopoguerra, contro cui qualcuno ha speculato allegramente, compresi i sedicenti alleati che non hanno mai visto di buon occhio la sua stabilità politica, contribuendo con manine (e manone) a minarne gli equilibri. A tavolino, direbbe qualcuno. Un tavolino come quello di una seduta spiritica a cui Prodi partecipò - con cinque bambini, come disse alla commissione su Aldo Moro nel 1981 (sic) - durante i giorni del sequestro dello statista Dc, mentre era nella casa di campagna del collega Alberto Clò a Zappolino, un pugno di km da Bologna. Per gioco mise il dito sul piattino e dalla seduta uscì la parolina Gradoli. Il covo delle Br effettivamente era in via Gradoli 96, ma l'informazione subito girata a polizia e Viminale mandò incautamente gli agenti nella incolpevole cittadina. «Qualcuno poteva aver ispirato gli spiriti?», chiesero a Prodi. Lui glissò, ma a distanza di molti anni fu un dissidente russo a indicare i suggeritori, una notizia ripresa anche dalla Bbc: «Romano Prodi e Ayman Al Zawahiri erano vicini al Kgb», disse prima di morire a Londra Alexander Litvinenko nel novembre del 2005. A rivelarlo fu la inquiry del giudice dell'Alta Corte sir Robert Owen. Che i servizi russi avessero suggerito a Prodi via Gradoli per blandirlo e accreditarlo lo ipotizzò anche l'ex spia russa Kgb Oleg Gordievsky in un'intervista al senatore Paolo Guzzanti, allora presidente della sfortunata commissione Mitrokhin.
Archeologia storico-giudiziaria ma anche storia recentissima che i rapporti tra Prodi e l'altro ex Kgb Vladimir Putin siano più che ottimi. Lo ha ricordato lo stesso Professore in una recente intervista: «Nel 2004 si parlava di Mosca nella Ue, con lui si doveva sempre dialogare su Europa e Nato per capire come raggiungere un compromesso. Oggi è impossibile dopo l'orrore scatenato in Ucraina». Ci aveva provato anche Silvio Berlusconi con Pratica di Mare, Prodi era convinto che, tra Pechino e l'Occidente, la Russia avrebbe scelto noi: ma si sbagliava di grosso, come spesso gli succede.
Già, Pechino. Siamo usciti dalla Via della Seta dove Giuseppe Conte in piena pandemia ci voleva trascinare, su suggerimento del solito Massimo D'Alema che in Cina ha una Fondazione (che ha venduto all'Italia mascherine e respiratori fallati, ma questa è un'altra storia...), Prodi c'è rimasto male e si capisce perché. Sono anni che è in rapporti con il Dragone cinese (come anche il suo discepolo Enrico Letta), lo dimostra il fatto che quando la Fondazione Agnelli ha deciso di investire in Cina l'ex presidente della commissione Ue ha fatto da sherpa, portando a casa una cattedra nella prestigiosa università Agnelli Chair of Italian Culture, gestita dal China-Europe philanthropy innovation research center dell'Università di Pechino, in collaborazione con il TOChina Hub dell'Università di Torino, come ha annunciato il presidente della Fondazione Agnelli John Elkann quando ha partecipato ai primi di novembre alla cerimonia inaugurale. Naturale che un'azienda di automotive investa in Cina, a caccia di ingegneri ma anche di clienti, strano che si rivolga a Prodi, da sempre molto critico con l'operazione Fca-Peugeot, se non per i suoi rapporti consolidati con la Cina su suggerimento dell'ex segretario di Stato Usa Henry Kissinger. Un'intuizione servita su un altro piattino, stavolta d'argento. Una piccola parte dell'argenteria di famiglia espoliata con la stagione delle discutibili privatizzazioni all'inizio degli anni Novanta, necessarie per entrare in Europa e risistemare i conti di un Paese fiaccato dalla speculazione monetaria orchestrata da 30mila miliardi di lire dell'epoca da quel galantuomo di George Soros, filantropo coi soldi italiani e teorico della società liquida con la sua Open Society Foundations. La sua vendita allo scoperto costrinse il governo Amato a chiedere a Bankitalia di svalutare la lira del 30%. A un campione della finanza come non dare una laurea honoris causa per questa spregiudicata operazione finanziaria? Ci ha pensato il suo amico Prodi e l'Università di Bologna, la più antica al mondo.
Antica come le trame contro l'Italia, in chiaro o allo «scoperto», di cui l'ultimo rottame dell'Internazionale anti italiana, pro migranti e pro gender, antisemita e anti Usa, è stato uno dei pupari. Ecco perché la Meloni ce l'ha tanto con Prodi. Ma non ditelo ai pupi come Elly Schlein, che sennò si offendono...
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