Finora l'inchiesta sul Qatargate gli era aleggiata sopra come un falco, ma il Partito democratico poteva ancora sperare che gli artigli della giustizia belga colpissero altrove: magari su partiti fratelli, magari su ex o transfughi come Antonio Panzeri. Le illusioni finiscono ieri sera, quando si scopre che i venti uomini mandati dal giudice Michel Claise a compiere una nuova perquisizione negli uffici del Parlamento europeo hanno messo i sigilli anche agli uffici di due personaggi di punta dei dem italiani a Bruxelles. Sono gli uffici di Andrea Cozzolino e Alessandra Moretti: i due sono accomunati dall'avere ereditato come assistenti parlamentari due ex assistenti di Antonio Panzeri, il protagonista numero uno dello scandalo. Con Panzeri lavorava Francesco Giorgi, poi passato al servizio di Cozzolino e ora in carcere; per la Moretti lavorava Federica Garbagnati, anche lei ex di Panzeri.
Nell'inchiesta del giudice Calise un ruolo chiave è attribuito proprio a gli assistenti parlamentari: professionisti superpagati che passano disinvoltamente da un deputato all'altro, anche di diverso schieramento. Almeno dieci di loro sono sotto il tiro della magistratura che ha disposto il congelamento di una decina di computer sequestrati nei giorni scorsi, in attesa di estrarre i dati contenuti. Se nel mirino ci sono per ora gli assistenti, anche la posizione dei loro deputati di riferimento è destinata a venire passata al setaccio. Dopo l'arresto di Giorgi - divenuto intanto l'uomo della socialista greca Eva Kaili, catturata con una montagna di quattrini - Cozzolino si è detto all'oscuro delle manovre del suo assistente e di Panzeri a favore del regime del Qatar: ma subito dopo sono rispuntati fuori due suoi messaggi inviati il 24 novembre scorso ai colleghi di gruppo che li invitava alla «moderazione» in occasione del voto sui Mondiali di calcio nel paese del Golfo, perchè «non si può accusare un paese senza prove». Stessa scena per l'altra dem Alessandra Moretti: dopo che erano stati sigillati gli uffici della Garbagnati la Moretti ha diffidato i giornalisti a non tirarla in ballo in una storia cui si proclama estranea. Ma i media belgi hanno subito ricordato un suo viaggio a Doha insieme a Marc Tarabella, il socialista belga protagonista di uno spettacolare voltafaccia pro-Qatar, e ora indagato.
D'altronde se il gruppo dei Socialisti & Democratici dell'europarlamento si sta rivelando la terra più fertile per la lobby di Panzeri, era difficile immaginare che la delegazione del Pd - che di S&D fa parte - sfuggisse agli interessi dell'ex sindacalista milanese. Le manovre di Panzeri, d'altronde, non erano sfuggite: «La presenza assidua di Panzeri e l'attivismo con la sua Ong mi hanno spinto a chiedermi di che cosa si occupasse realmente» dice ieri Brando Benifei, capogruppo del Pd a Bruxelles. Ma sono domande che finora Benifei si era tenuto per sè.
Domani arriverà la nuova decisione sulla sorte di Panzeri e degli altri tre ancora in carcere. Ad aggravare la situazione del presidente di Fight Impunity arrivano intanto le perquisizioni scattate ieri in Lombardia. Per ora la Guardia di finanza sta solo eseguendo gli ordini di Fabio De Pasquale, procuratore aggiunto della Repubblica di Milano, che a sua volta esegue l'ordine europeo arrivatogli dai colleghi belgi. Ma l'apertura del fronte italiano del Qatargate inizia comunque a dare risultati.
Saltano fuori altri contanti: diciassettemila euro, poca cosa rispetto ai seicentomila che l'uomo nascondeva nella sua abitazione della capitale belga. Che però aumentano le cose che Panzeri dovrà spiegare a Michel Claise.
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