Un amarcord può aiutare a comprendere meglio la portata storica della torsione europeista del Movimento 5 Stelle, dopo l’ok di Beppe Grillo all’ingresso nella maggioranza parlamentare che sosterrà il governo di Mario Draghi. Ma prima stiamo ai fatti più recenti. “Non possiamo essere gli stessi, è sbagliato pensare come eravamo! Non siamo quelli di 10 anni fa! È meraviglioso!” aveva detto il fondatore dei pentastellati in un video assieme a Luigi Di Maio il 23 novembre 2019. L’estate precedente era nato il governo Conte bis con il Pd e Italia Viva. Si avvicinavano le fondamentali elezioni regionali in Emilia-Romagna del 26 gennaio 2020 e bisognava quietare voci di dissenso tra il leader genovese e l’allora capo politico del Movimento 5 Stelle. Quelle frasi suonano oggi profetiche. Il 6 febbraio 2021 Grillo e la delegazione pentastellata incontrano il Presidente del Consiglio incaricato Draghi. Il reggente del partito giallo Vito Crimi all’uscita dal colloquio parla di “un’ambizione solidale, ambientalista, europeista. E partendo da quello che è stato già realizzato. Abbiamo trovato da parte sua la consapevolezza di partire con l’umiltà di chi accoglie quanto fatto prima”. Boom. Draghi potrebbe riportare al governo leghisti e 5 Stelle, dopo la clamorosa rottura dell’estate 2019, che segnò alla fine del primo governo del professor Giuseppe Conte. E ora riavvolgiamo il nastro. Sabato 11 ottobre 2014. Al governo c’è il “rottamatore” segretario del Pd Matteo Renzi, entrato a Palazzo Chigi a febbraio dopo aver pugnalato il collega di partito Enrico Letta. Il Movimento 5 Stelle alle elezioni politiche del 2013 è stato il partito più votato, travolgendo i Palazzi della politica romana con 156 parlamentari. È la fase dell’opposizione dura e pura, della contrapposizione frontale al Pd e a Renzi. I pentastellati si ritrovano in quel fine settimana d’ottobre al Circo Massimo di Roma per il primo raduno nazionale “Italia a 5 Stelle”. Il fondatore del Movimento, l’uomo che ha avuto l’intuizione geniale della rete da utilizzare come grimaldello per scardinare la politica della Seconda Repubblica sale sul palco.
Gianroberto Casaleggio parla davanti a una folla di circa 250mila persone. L’imprenditore politico parte da una prima pagina del quotidiano “la Repubblica” di quello stesso giorno da lui letto in treno e la mostra ingrandita alla platea. Il titolo d’apertura è: “Draghi: i governi senza riforme saranno cacciati”. Casaleggio attacca: “Il Draghi è nella Bce, non è al governo, non si capisce a che titolo lui chieda ai governi riforme. Che poi, non sono qualificabili queste riforme, perché se si parla di riforma del Senato o dell’articolo 18 (dello Statuto dei lavoratori, ndr), che riforme sono? Comunque questo signore è un banchiere, non ha nessun titolo di darci alcun ordine né diretto né indiretto”. E ancora: “Bisognerebbe passare attraverso le elezioni politiche per nominare un Presidente del Consiglio, non attraverso Napolitano (allora Capo dello Stato). Ne ha nominati tre, uno dopo l’altro. Ma chi li ha nominati? Lui o Draghi? Perché Draghi con quest’affermazione, se dice che li caccia, vuol dire che li mette pure!”.
Casaleggio prosegue la sua personale rassegna stampa con il Corriere della Sera sempre dell’11 ottobre 2014, una pagina interna. Titolo: “Draghi: chi non crea lavoro sparirà”. Fischi della folla, Casaleggio aspetta un po’ di silenzio e dice: “Ma come fa a sparire chi non crea lavoro, secondo Draghi? Se non ci sono elezioni politiche? La mia sovranità nazionale non la regalo a nessuno! Devono venirsela a prendere, non con una lettera della Bce, ma con le armi, come hanno fatto una volta!”. Stiamo parlando di Gianroberto Casaleggio, lo ripetiamo, cioè l’imprenditore del web che nel 2005 aveva trasformato il blog del comico Beppe Grillo in una macchina da guerra politica che avrebbe portato ai due Vaffa Day l’8 settembre 2007 e il 25 aprile 2008 e, infine, alla fondazione del Movimento 5 Stelle il 4 ottobre 2009. Cioè del primo partito italiano tra il 2013 e il 2018. E Grillo? Sabato 13 dicembre 2014, giorno di Santa Lucia, si presenta in un gazebo pentastellato nella sua Genova per firmare il referendum a favore di una legge popolare che consenta all’Italia di abbandonare l’euro. Lo stesso Grillo aveva presentato l’iniziativa due giorni prima in Senato con queste parole: “Proponiamo il referendum sull’euro, ma siamo andati in Europa con 7 punti: uscire dal fiscal compact (il patto di bilancio europeo che impone il pareggio contabile e restringe il margine di manovra in materia di spesa pubblica degli Stati nazionali, ndr) rivedere il parametro del 3% (secondo il Trattato di Maastricht nessuno Stato Ue può avere un deficit superiore al 3% del prodotto interno lordo, ndr), togliere gli eurobond (obbligazioni del debito pubblico dei Paesi dell’eurozona, ndr)”. Il 16 luglio 2019 per il Movimento 5 Stelle inizia un’altra storia: gli europarlamentari del partito giallo fanno parte della maggioranza che elegge la nuova presidente della Commissione Europea.
Ursula Von Der Leyen, 60 anni, tedesca, esponente di primo piano del partito CDU, ministro dal 2005 al 2019 (alla famiglia, al lavoro e alla difesa) in tre diversi governi di Angela Merkel. Quel giorno, e non sulle spiagge romagnole dell’estate bestiale di Salvini, finisce la maggioranza del Carroccio a 5 Stelle che sostiene il governo Conte. Oggi è un’altra storia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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