Quando la politica si riduce alla rissa. L'arte dimenticata di fare compromessi

Le sfide tra leader rispondono a concezioni tribali. Pd e M5s rischiano di rimetterci per l'assenza di un fronte moderato

Quando la politica si riduce alla rissa. L'arte dimenticata di fare compromessi
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Una sfida all'O.K. Corral, un tipo di duello che sarebbe meglio ambientare in un film western ma di cui si è impossessata, purtroppo, una politica come quella di oggi in preda ad istinti primordiali. Eppure tra il 27 ottobre e il 5 novembre, in una settimana, si decideranno le sorti di uno scontro tra Giuseppe Conte e Matteo Renzi che sta caratterizzando la nascita, semmai verrà alla luce, del campo largo. Qualcosa che ricorda per virulenza verbale la disfida d'Oltreoceano tra Donald e Kamala. Anzi ne è un surrogato: se nelle elezioni in Liguria il centro-sinistra senza Italia Viva per il veto dei leader dei 5stelle perderà e lo stesso capiterà a Trump nelle elezioni americane, ebbene, Giuseppe Conte sarà azzerato e sarà costretto a cucirsi addosso un altro vestito; se, invece, il «campo monco» si imporrà sul centro-destra per il dopo Toti e la Harris perderà la Casa Bianca Renzi dovrà reinventarsi per l'ennesima volta.

Insomma, siamo ad una concezione primitiva della politica se si pensa che i due dovrebbero essere dei potenziali alleati. Solo che il populismo si è portato dietro una concezione tribale dello scontro politico, lontano anni luce dalla Storia di questo paese degli ultimi settant'anni. I leader dc se ne facevano di tutti i colori ma alla fine individuavano un compromesso. De Mita e Forlani hanno guidato due dc agli antipodi eppure fecero della mediazione la loro arte. Come basta ricordare che il primo governo Berlusconi cadde per mano di Umberto Bossi, eppure il Cav non ci pensò due volte a siglare una pace per assicurarsi la vittoria alle elezioni. Ed ancora: Prodi e D'Alema sono due che non si sono mai piaciuti ma alla fine hanno trovato il modo per sopportarsi. Altro stile, altra politica. Qui, invece, per far fuori l'avversario del proprio campo si è disposti a perdere la battaglia. Altroché campo d'Agramante, qui siamo quasi al «ne resterà uno solo» di Highlander o peggio al Todo Modo di Leonardo Sciascia.

La domanda è: si può ridurre la politica ad uno scontro personale, al rancore e magari pure all'odio? Io penso di no perché alla fine la gente si stufa. È già successo con il terzo polo per l'avversione di Calenda verso Renzi e si sa com'è finita: Calenda ha perso la destra del suo partito ed è diventato un ectoplasma al punto che per il Conte trumpiano e il Fratoianni versione Melenchon è del tutto indifferente averlo in coalizione oppure no. Solo che un Carletto normalizzato, non copre certo il fianco moderato dello schieramento di sinistra. Da solo non può.

Ecco perché magari sbaglierò e sarò pronto a ricredermi ma il «campo monco» rischia di perdere in Liguria elezioni che già dava per vinte. Il problema non sono i 2 punti percentuali che avrebbe portato Renzi, anche se in uno scontro che si prospetta all'ultimo voto potrebbero a conti fatti risultare determinanti. Ciò che viene a mancare ad Andrea Orlando è la funzione che avrebbero potuto svolgere i riformisti - cioè Italia viva, i radicali e i socialisti - proprio perché invisi all'ala sinistra della coalizione.

Basta un esempio: chi conosce Genova sa che è una città di pensionati, con una delle età medie più alte d'Italia, tutta gente che vive affittando le case che ha comprato in una vita; c'è da chiedersi come accetteranno di appoggiare una coalizione in cui il partito della Salis, che scambia l' «occupazione della case» per una religione, fa il bello e il cattivo tempo. Se ci fosse un bilanciamento sul piano moderato pure pure, ma così.

E alla fine chi rischia di rimetterci di più sono proprio la Schlein e il Pd: i grillini e la sinistra radicale hanno il loro habitat nell'opposizione, il Pd invece aspira a governare. Stesso discorso vale sul piano nazionale. Una volta le alleanze si basavano su un minimo d'intesa sulla politica estera. Oggi sulla carta dovrebbero essere tornati quei tempi. C'era più sicurezza un tempo con Breznev che non adesso con Putin: siamo in mezzo a due guerre e alla minaccia della guerra nucleare.

Ebbene come può essere competitiva una coalizione condizionata da due partiti - uno che guarda a Trump e l'altro a Melenchon - che per la pace, qualunque essa sia, sono disposti ad arrivare a patti pure con il diavolo. Forse se vince Trump sì, ma se vince la Harris sicuramente no.

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