Guai a chiamarli separatisti. «Noi vogliamo soltanto cancellare un errore storico del fascismo», dice l'avvocato Marco Sitran. Il misfatto risale al 1926 quando Giuseppe Volpi, da un anno conte di Misurata, dopo aver inventato l'industria a Marghera e prima di dar vita alla Mostra del cinema, orchestrò l'unificazione dei comuni di Mestre e Venezia arricchendo di colpo i latifondisti della terraferma e gli amici accorsi ad acquistare quei campi. Da un mattino all'altro contadini e speculatori si risvegliarono lagunari doc.
Venezia non era più soltanto la millenaria repubblica regina dei mari ma inglobava un'enorme periferia fatta di fabbriche, traffico, palazzine anonime che l'avrebbero fagocitata. Il che è puntualmente avvenuto. Novant'anni fa in laguna vivevano 200mila persone e Mestre faceva appena 9mila abitanti; oggi la situazione è capovolta: gli ostinati eredi della Serenissima sono rimasti 55mila contro i 200mila che popolano l'entroterra.
Nell'orgoglio lagunare il duce è come Napoleone, il distruttore dell'identità. «È il momento di rimettere le cose a posto», proclama Sitran, promotore della legge regionale di iniziativa popolare per staccare Mestre da Venezia. In tre anni questo piccolo comitato senza sede e senza soldi ma con una passione d'altri tempi è riuscito a raccogliere 9mila firme e convincere 34 consiglieri regionali su 50: non solo gli autonomisti del Carroccio che a Palazzo Ferro Fini sono la maggioranza, ma anche i Cinque stelle, gli ex leghisti del sindaco di Verona Flavio Tosi e i Fratelli d'Italia. Il prossimo passo da compiere è un referendum tra i cittadini. L'ennesimo, il quinto dal 1979. Negli anni i «Sì» sono sempre cresciuti: la prima volta erano il 28 per cento, l'ultima (2003) il 48. Il manipolo di irriducibili combatterà la sua Lepanto in nome della lotta contro il degrado, l'impoverimento, lo spopolamento, lo strapotere del turismo senza qualità. Le foto dell'ultimo carnevale fanno impressione: invece che una bomboniera in festa, Venezia è un reticolo di gente pigiata come aringhe in scatola, un magma umano, né maschere né sorrisi.
Nel resto dell'anno, invece, l'ex Serenissima è in ostaggio dei «bottegari» cinesi. Un'immensa rivendita di chincaglieria da quattro soldi, di pizze al taglio e panini; una sequela di bar dove un dito di prosecco costa come champagne; un contenitore di bivaccanti mordi e fuggi che arrivano al mattino da Mestre e dintorni (dove alberghi e bed&breakfast costano la metà) e se ne vanno la sera lasciando sporcizia e rifiuti. Impossibile controllare il decoro delle orde di turisti low cost: i vigili urbani sono tutti a Mestre a regolare il traffico e appioppare multe.
I negozi chiudono, non si trovano più panifici, fruttivendoli, macellai, nemmeno gli artigiani del vetro e dei merletti: gli affitti sono astronomici come le tasse locali. La gente lascia i palazzi storici e fugge al Lido o al Cavallino, dove almeno si può fare ancora la spesa, e chi non è ancora partito sogna di farlo. Se ne vanno pure gli uffici pubblici e le sedi di rappresentanza delle grandi aziende; perfino il Casinò soffocato dai debiti chiuderà la sede sul Canal Grande per tenere quella di terraferma a Ca' Noghera, a due passi dall'aeroporto di Tessera. È una deriva inarrestabile in nome di un unico imperativo: turisti uguale schei. Ai soldi si sacrifica tutto, compreso il delicatissimo ecosistema lagunare.
I veneziani vogliono essere riconosciuti come abitanti di una città unica al mondo e ottenere una speciale autonomia come le province di Trento e Bolzano. L'incognita principale del referendum è che Venezia da sola non ha i numeri. In terraferma devono persuadersi che conviene anche a loro sganciarsi dalla laguna. Sitran è convinto che il clima stia cambiando: «Oggi Mestre, terza città del Veneto, è una frazione con il triplo degli abitanti del capoluogo. La sua storia e il suo sviluppo sono totalmente slegati dal mare. Il porto, l'aeroporto, lo snodo ferroviario, il traffico autostradale, il polo industriale sono tra i primi in Italia, e presentano problemi completamente diversi da quelli delle isole. Separare le due realtà amministrative chiarirà le competenze e consentirà a Mestre di non essere più considerata soltanto una città dormitorio. La sensibilità si diffonde, parte delle firme per la legge di iniziativa popolare le abbiamo raccolte anche lì».
Il referendum non ha ancora una data. Deciderà la Regione: probabilmente si farà in autunno con l'altra consultazione autonomista, quella dell'intera regione, fortissimamente voluta dal governatore Luca Zaia.
Lega e grillini sono con Sitran e i suoi. Contrari alla separazione sono gli altri partiti: Pd, Forza Italia, Area popolare e la lista del sindaco Luigi Brugnaro. Il quale, in campagna elettorale, aveva firmato un accordo per il «Sì» a un eventuale referendum.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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