La questione meridionale è un viaggio che non finisce mai

La questione meridionale non ha mai fine

La questione meridionale è un viaggio che non finisce mai
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La questione meridionale non ha mai fine. È urgente, necessaria e forse impossibile. Tocca comunque provarci. Il viaggio per salvare il Sud è iniziato nel 1902. Il capo del governo è un signore di settantasette anni, con i baffoni, un massone risorgimentale che nel 1849 aveva combattuto in quella Brescia leonessa contro gli austriaci. È anche quello del primo codice penale dell'Italia unita. Il codice Zanardelli, appunto. Ora immaginate. C'è questo signore bresciano che praticamente non ha mai messo piede al Sud, al massimo un pomeriggio di sfuggita a Napoli. Tutti i giorni i suoi amici meridionali, gente come Nitti, Fortunato, Gianturco, Lacava, parlano di un Mezzogiorno abbandonato a se stesso, scalzo, sventrato. «Tu non sai, tu non capisci».

Zanardelli allora si mette in testa la tuba, prende il treno e parte. È il 17 settembre. La fanfara è d'ordinanza. Il treno passa per Ceccano, poi per Roccasecca, Caianello, Teano, Cassino, Pignataro, Capua, Santa Maria Capua Vetere e Caserta. A questo punto qualcuno comincia a chiedersi: ma dove vanno? Dove finisce il Sud? Vanno a Eboli e già Zanardelli scopre l'inferno, ma la destinazione dei protocolli ministeriali è il cuore della Lucania. La gira coast to coast. A Gorgoglione incontra un vecchio che comunque ha meno anni di lui e chiede: di cosa avete bisogno? E il vecchio risponde: «Eccellenza, di tutto. Ma intanto pregate per noi». Ogni tappa un brindisi. È distrutto. Quel viaggio di 13 giorni vale una vita. Zanardelli promette riforme, infrastrutture, soldi, scuole, speranza. È sincero. Solo che poco più di un anno dopo, il giorno di Santo Stefano del 1903 il suo cuore smette di battere e le sue promesse se ne vanno con lui.

Il Sud è ancora qui, irrisolto. Tocca a Raffaele Fitto riportare sul tavolo la questione meridionale. Lo fa con un acronimo: Zes. È la zona economica speciale per i fondi che arrivano dal piano europeo Next Generation. Il 40 per cento delle risorse andranno a Sud e verranno gestiti dal governo. c'è un filo che si snoda tra il Pnrr e il decreto Caivano. L'idea è non sprecare queste risorse e tenerle lontane dalle mani sbagliate. Non sarò affatto facile. La sfida è non cadere nella vecchia trappola della cassa del Mezzogiorno, soldi prendi e scappa che ingrassano i furbi e i criminali, organizzati. Sono gli unici che non ne hanno bisogno. Questo denaro che arriva dall'Europa serve a dare una possibilità alla scommessa di Giorgia Meloni su Caivano e su quel deserto disperato delle altre zone franche, una frontiera economica, sociale e anche dell'anima. La realtà è che non basta lo Stato. Non funziona neppure il treno di Zanardelli. Il Sud ha bisogno di vita, pensare che domani non sarà come ieri, di avamposti di speranza. Questo significa pensare alle imprese non solo come profitto.

Le imprese possono svolgere, se ci credono, un ruolo sociale. Aggregano, integrano, fanno cultura. Sono punti di riferimento. E qui il tempo più centrale è quello della formazione. Se sai fare un lavoro magari non ti perdi.

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