Raid di Ankara sulle basi del Pkk. Ocalan: "Pronti alla pace"

Colpite 47 postazioni in Siria e Irak. Il leader curdo: "Disponibile a muovere dal conflitto al confronto politico". Sul tavolo la grazia

Raid di Ankara sulle basi del Pkk. Ocalan: "Pronti alla pace"
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Potrebbe aprirsi un inedito scenario politico dopo l'attentato di due giorni fa contro la principale azienda della difesa turca, la Turkish Aerospace Industries, che ha provocato 4 morti e 14 feriti. Da un lato il partito filocurdo Dem si è detto pronto a risolvere il conflitto tra lo Stato turco e il Partito dei Lavoratori del Kurdistan; dall'altro gli 007 di Erdogan si sono concentrati su 47 obiettivi del Pkk nel nord dell'Irak e nel Nord della Siria, distruggendoli.

Da oltre 40 anni in conflitto con Ankara, il gruppo curdo ha lanciato un messaggio in bottiglia al sultano del Bosforo: «Apriamo insieme questa nuova strada», ha dichiarato il portavoce del Dem, Aysegul Dogan. Poco prima un'altra primizia aveva caratterizzato la politica turca: il leader del Pkk, Abdullah Ocalan, imprigionato dal 1999, aveva manifestato la volontà di spostare «questo processo dal piano del conflitto e della violenza al piano legale e politico». In precedenza anche la formazione nazionalista Mhp aveva fatto trapelare un'apertura rispetto a un possibile processo di pace. «Il signor Ocalan è pronto. Ora è il turno di coloro che hanno lanciato questo appello e di coloro che lo sostengono», ha aggiunto Dogan.

Tra l'altro Omer Ocalan, nipote del leader del Pkk, lo ha incontrato nel carcere sull'isola di Imrali in Turchia: è la prima visita dopo 43 mesi. Erdogan negli anni scorsi aveva sì aperto un dialogo per poi chiuderlo in maniera, a suo dire, definitiva. Oggi, quando si trova nel suo ultimo mandato al governo del Paese, probabilmente sta valutando altre strade. Tra le quali è possibile anche una grazia a Ocalan, legata all'addio alla lotta armata del Pkk.

Certo è che nessun gruppo terroristico ha rivendicato la responsabilità dell'attacco: ciononostante, il ministro degli Interni Ali Yerlikaya ha affermato che i risultati preliminari suggeriscono che dietro ci sia il Pkk. Al contempo la Turchia sta provando a stringere più legami logistici con la Siria, non solo a causa di connessioni geografiche e storiche, ma lungo la direttrice della profondità strategica macro regionale. Lo dimostra, tra le altre cose, la costruzione di un corridoio per creare una zona cuscinetto tra le due nazioni che impedisca la proliferazione di gruppi terroristi. Secondo le intenzioni del governo di Ankara, quella zona potrebbe diventare un'area stabile con i ritorni sicuri dei siriani detenuti su suolo turco, che puntano al reinsediamento. Il tutto si sta svolgendo in una cornice diversa rispetto al recente passato, in virtù del fatto che Assad potrebbe decidere di garantire una serie di condizioni di pace tra cui un'amnistia generale, consentendo così ai siriani sfollati di tornare in patria in sicurezza.

Un quadro che è stato verosimilmente favorito (o accelerato) dall'attacco alla

fabbrica Tai, perché ha consentito all'esercito turco di reagire nuovamente in terra siriana e al contempo mostrare a Mosca un attivismo regionale. A questo punto andrà solo valutata la reazione di Israele a questo scenario.

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