Che bello una volta, quando le tasse non ci strangolavano, lo stipendio ci bastava, ci compravamo la macchina nuova con allegria, la casa anche senza arrivare alla liquidazione e le imprese galoppavano verso un futuro di investimenti sempre più roseo.
Che belli, quegli anni '60, in cui la pressione fiscale era bassa, bassissima rispetto ad oggi, al 24,7%, sì davvero non ve lo ricordate? Ora che l'Italia è al 43,3%, ci sembra quasi impossibile.
Erano gli anni della crescita, dell'impulso e dell'ottimismo, ognuno aveva fiducia nelle sue possibilità di migliorare col tempo la propria condizione. Il lavoro aveva un fine a portata di mano, da realizzare presto, con una vita più bella. Il mondo girava, persone e aziende giravano con lui e si poteva sognare.
In questo 2017, invece, le ultime tabelle Ocse spietatamente ci ricordano che in 50 anni il nostro mondo si è capovolto, fiscalmente parlando. Adesso ogni cittadino ha sulle spalle un macigno enorme di debiti non suoi ed è condannato come Sisifo a portarlo su per poi vederlo rotolare al punto di partenza. Deve pagare le tasse in misura sproporzionata, sempre. E tante.
I numeri? Il gettito fiscale in rapporto al Pil è passato da quel magico 24,7% del 1965 all'opprimente 43,3% del 2015. Un balzo enorme, schiacciante per ogni residua ambizione di riscatto, un balzo di oltre 18 punti percentuali. Ineguagliato. È un primato che non vorremmo avere, eppure l'Italia è al top G7 per incremento della pressione fiscale in 50 anni e al secondo posto per gettito in rapporto al Pil.
Ci potremmo consolare aggrappandoci all'ultimo dato sulla pressione fiscale del 2016 diffuso dall'Istat: 42,9% (al 42,3 con la riclassificazione come bonus Irpef degli 80 euro in busta paga). Forse qualcosa inizia a muoversi, forse s'inverte la tendenza? E invece no, assicurano implacabili gli esperti, nessuna speranza: sul caso italiano quel dato incide ben poco. Come dire: si andrà avanti così, non illudetevi. Se non peggio.
Così, vuol dire male, malissimo. E a poco serve guardare quei pochissimi che stanno peggio. L'ultimo Revenue Statistics 2016 dell'Ocse mette al primo posto per pressione fiscale tra i Sette Grandi la Francia, al 45,5% nel 2015, dal 33,6% del 1965 (con una crescita di quasi 12 punti). Comunque ben al di sotto del nostro 18%.
Guai, poi, a guardare chi sta meglio, anche se di poco. In Canada il gettito in rapporto al Pil si attesta al 31,9%, rispetto al 25,2 del 1965 (circa 6 punti in più). Peggio a confrontarci con l'asse Londra-New York. Il Regno Unito, al solito, fa storia a sé e ci sbatte in faccia una stabilità che fa assonanza con superiorità. La pressione fiscale è sostanzialmente stabile da 50 anni: al 32,5% nel 2015 dal 29,3% (circa 3 punti in più). Stesso trend negli Usa al 26,4% nel 2015 dal 23,5% dell'era Johnson. Riprendiamo fiato col Giappone? Stava benissimo 50 anni fa, con il 17,8%, ma è arrivato al 32% nel 2014 (ultimo dato disponibile), con 14 punti di incremento. Sì Nel resto dell'Ue, ai primi posti per pressione fiscale in rapporto al Pil c'è la Danimarca al 46,6%, con una crescita forte rispetto al 29% del 1965 (17 punti), però non facciamo confronti sui servizi pubblici.
Come in Svezia, al 43,3% dell'Italia, con un più 12 punti dal 31,4% del '65. Meglio guardare la Spagna, salita da un bassissimo 14,3% al 33,8% (19). O al Portogallo (18 punti) dal 15,7% al 34,5%, ma ricordiamoci che ha dovuto scongiurare il default.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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