Roma Il boomerang referendario si abbatte sul «campo largo».
Defunto, con la bocciatura della Consulta, il quesito contro l'Autonomia differenziata, l'unico che teneva insieme il fronte delle opposizioni e poteva aprire forti contraddizioni in maggioranza, ora tocca fare i conti con i quesiti sopravvissuti.
Quelli contro il Jobs Act, imposti dalla Cgil di Landini (che puntava sull'effetto trascinamento della campagna anti-autonomia per incoronarsi leader della stagione referendaria) e quello sul dimezzamento degli anni necessari a far richiesta di cittadinanza italiana, promosso da +Europa. I primi spaccano il Pd e dividono i populisti (M5s e sinistra) dai centristi. Il secondo lascia assai tiepido Giuseppe Conte, che dai tempi dei Decreti sicurezza con Salvini vuol presidiare il fronte anti-migranti.
Il flop nelle urne, a causa del mancato raggiungimento del quorum, è dato praticamente per scontato da tutti gli interessati. Ma, nel frattempo, i quesiti fanno esplodere le contraddizioni interne al centrosinistra, dividendo il campo largo e lo stesso Pd. É stato subito chiaro ieri, quando uno dei massimi dirigenti dell'area riformista dem, Alessandro Alfieri, in una intervista al Corriere della Sera, ha avvertito Elly Schlein che schierare il partito a sostegno dell'operazione Landini, come chiede ad esempio il responsabile Lavoro Arturo Scotto, sarebbe politicamente rischioso. La segretaria, e con lei l'ala sinistra del Pd, si allineano alla Cgil: «Non faremo mancare il nostro sostegno», giura Schlein. «Io non lo sosterrò - dice invece Alfieri - perchè è un referendum che rischia di riaprire ferite del passato. Il Jobs act conteneva molti aspetti innovativi, invece si vogliono riportare le lancette indietro». E ricorda (perfidamente) che tanti dei sostenitori di Schlein, oggi schierati per il sì al referendum, all'epoca votarono obbedienti la riforma del lavoro renziana: «Da Bersani a Speranza a Orlando». Matteo Renzi, dal canto suo, è già pronto a lanciare i comitati per No al referendum landiniano, e invita i riformisti ad uscire da un Pd «spostato a sinistra che fatica a rappresentare il centro: come fate a votare contro il Jobs Act o la separazione delle carriere?», infierisce.
Al Nazareno fanno finta di essere quasi contenti della bocciatura: «Il quorum non ci sarebbe stato, rischiavamo di perderlo. Meglio così». Ma è un mantra auto-consolatorio di breve durata: la verità è che sulla battaglia anti-autonomia il Pd di Schlein aveva investito tutte le proprie energie, anche perchè la campagna referendaria era l'unica iniziativa mobilitante e capace di unificare il «campo largo» prima delle Politiche. Tanto che al tema referendum verrà dedicata un'apposita segreteria, per capire come uscire dall'impasse.
Intanto ci si spacca per l'ennesima volta sull'Ucraina in Parlamento: Avs e 5S contro ogni sostegno a Kiev in nome della «pax» putiniana, centro pro-Ucraina e Pd costretto a dire sì alle armi ma invocando una improbabile trattativa europea con l'invasore. Mentre Romano Prodi infierisce nuovamente contro Elly Schlein: «Il Pd ha solo la metà dei voti necessari a vincere. Serve una coalizione larga con un programma comune. Lei ne è capace?».
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