La retromarcia di Renzi: vuole restare se vince il No

Accerchiato dalla fronda interna, il premier cerca di evitare la trappola delle dimissioni in cui si è infilato

La retromarcia di Renzi: vuole restare se vince il No

Houston, abbiamo un problema, serve un piano B. Dopo il flop di domenica, scorrono ore frenetiche nella sala dei bottoni di Palazzo Chigi. Si scambiamo pareri, si cercano alternative, si studiano soluzioni. Il risultato elettorale ha infatti gettato un'ombra lunga sul referendum sulle riforme e Matteo Renzi, che da mesi ha promesso di autorottamarsi in caso prevalgano i No, adesso non è più così sicuro di vincere. Dunque c'è bisogno di un'idea. Una svolta, un colpo d'ala che gli consenta di smarcarsi dalla trappola in cui si è messo e di restare comunque al suo posto.

Il primo cambiamento, nei toni, è già stato fatto: basta arroganza, occorre più umiltà. «Pd e governo cerchino di capire come e dove possiamo fare meglio. Ci si apra di più al territorio, alle riflessioni e alle critiche dei cittadini, ai suggerimenti degli amministratori locali e dei circoli», scrive il premier nella sua e-news mattutina. Più popolo e meno Palazzo. «Spalanchiamo le finestre, altro che caminetti». Il secondo è in una maggiore attenzione alle periferie: in questa chiave si può leggere il bonus per i condomini.

Basterà? È la prima volta in due anni che Renzi si trova in difficoltà, con il partito che ribolle e i vecchi leader che lo attaccano in campo aperto. Romano Prodi su Repubblica sostiene che «se non cambi le politiche, il politico cambiato invecchia anche in un paio d'anni... L'usura corre veloce. La mancanza di risposte efficaci logora e al momento si sente la mancanza di risposte che affrontino il problema delle paure e le loro cause». Sul Corriere Massimo D'Alema l'accusa di aver rottamato il Pd. «Renzi ha perso la sintonia con base e con il Paese. Una parte molto grande dell'elettorato di sinistra non si riconosce nel Pd, non lo sente come proprio, non si mobilita». E Pier Luigi Bersani, ad Agorà, Rai 3. «La sinistra deve andare dove sono i problemi. Abbiamo avuto sbandamenti che hanno incoraggiato l'idea di trasformismo. Abbiamo perso, Matteo deve fare un bagno di umiltà». E accettare modifiche all'Italicum.

Chissà se i tre grandi ex si sono messi d'accordo prima ma, certo l'impressione è quella di una morsa per stritolare il premier-segretario, indebolirlo, normalizzarlo. Lui però, più che una morsa, forse la considera una tenaglia arrugginita, fatta di vecchi arnesi. «Oggi in molti - scrive ancora - mi chiedono di ascoltare con attenzione il messaggio di queste amministrative. Accolgo volentieri il suggerimento, dobbiamo aprire le finestre alle critiche» della gente». Però, aggiunge, «parliamo con e dei cittadini e non dei nostri equilibri congressuali: una discussione seria e bella come tutte le discussioni vere non credo possa essere rimpiazzata dalla classica polemica sulle poltrone in segreteria o sul desiderio delle correnti di tornare a guidare il partito».

Domani la direzione del Pd. La gestione collegiale è saltata, come pure l'ingresso di Rossi e e Zingaretti.

Se il premier, fanno sapere da Palazzo Chigi, ha definito la vittoria Cinque Stelle come voglia di cambiamento è per accelerare la resa dei conti interni, non certo per frenarla. Ma per Renzi il problema non è il partito, è come mettersi al sicuro dal referendum.

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