Gli occhi neri brillanti, la barba nerissima, la veste nera in mezzo alle palandrane bianche dei suoi vecchi, il 32enne principe della corona saudita Mohammed Bin Salman non ha paura di nulla. Il messaggio è questo: i nemici avranno guerra, chi è avverso all'erede del re Salman è in galera, i corrotti finiscono male, la leadership sunnita splenderà di nuovo. L'Arabia Saudita minacciata dal ribasso del prezzo del petrolio e dalla ormai evidente crisi della «nazione araba», intraprende una nuova strada. È un terremoto interno accompagnato dalla ridefinizione generale degli interessi del Paese, e quindi del quadrante mediorentale.
Il principe della corona ha fatto arrestare gran parte della nomenclatura locale. Undici principi, quattro ministri e una dozzina di ex ministri, diversi miliardari e dirigenti del settore petrolifero. Fra questi Alwaleed bin Talal, nipote del re, miliardario, padrone della società di investimento Kingdom Holding. La purga ha messo agli arresti il principe Ibrahim al Assaf, l'ex ministro delle finanze e membro del board del gigante petrolifero Saudi Aranco, e molti precedenti alleati di bin Salman. La purga, ammantata di accuse di corruzione e di sedizione, ha di fatto il carattere di un riposizionamento strategico. L'Arabia Saudita nella strategia del presidente Obama non era più un interlocutore privilegiato. In generale «la nazione araba» era stato sostituto da due poli che sono sembrate a Obama più promettenti: l'Iran con cui è stato forgiato l'accordo di tre anni fa, e la Fratellanza Musulmana, che era apparsa affidabile specie in Egitto con Mursi, che ha fallito, e in Turchia, dove tuttora detta legge con Erdogan. L'Arabia Saudita aveva sulle spalle il peccato originale del wahabismo, dei miliardi investiti in moschee estremiste e antioccidentali, dei terroristi dell'11 di settembre. Ma proprio là ha colpito Mohammed Bin Salman: mentre avviava nuove riforme, fra cui quella simbolica della patente alle donne, in settembre arrestava una trentina di intellettuali e di clerici wahabisti, mentre promuoveva altri religiosi, quelli che avevano espresso più tolleranza verso cristiani e ebrei.
Intanto, sia in incontri segreti e palesi con Israele e in contatti con la nuova amministrazione Usa, i Sauditi mettevano al primo posto il rifiuto assoluto dell'espansione iraniana e degli Hezbollah in Medio Oriente in Iraq e in Siria, e della presa d'acciaio sul Libano. In Yemen, ormai sono due anni che fra l'Arabia Saudita e la Guardia rivoluzionaria iraniana è guerra. Sabato scorso, il colpo di teatro: parlando da Riad si è dimesso il primo ministro libanese Saad Hariri, dicendo che si era rifugiato presso i sauditi a causa di un tentativo iraniano di ucciderlo e denunciando la destabilizzazione, il terrorismo, l'odio che l'Iran esporta ovunque. Il padre di Hariri, Rafik, a sua volta primo ministro, fu assassinato nel 2005.
È di questi giorni la minaccia di guerra agli Hezbollah e al Libano stesso del ministro degli affari del Golfo Thamer al Sabhan. Insomma il principe Mohammed riforma il potere saudita invecchiato, lo ripulisce, cerca la leadership araba contro l'Iran, sacrifica i wahabiti a una nuova alFleanza con l'occidente, incluso Israele.
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