Una riforma da rivedere. Così la disoccupazione è a carico delle imprese

Obbligo di utilizzo della cigs e di formazione esonerano lo Stato dai problemi del lavoro

Una riforma da rivedere. Così la disoccupazione è a carico delle imprese

Uno Stato «paternalista» che mette l'impresa al servizio dei problemi occupazionali e non di quello che sarebbe il suo obiettivo naturale, ossia remunerare con gli utili il capitale investito. È questo il paradosso che potrebbe celarsi dietro la riforma degli ammortizzatori sociali sulla quale sta ancora lavorando il ministro del Lavoro, Andrea Orlando.

Un esempio di come potrebbe funzionare il nuovo sistema è il decreto attualmente in fase di stesura contenente «misure urgenti in materia di tutela dell'insediamento dell'attività produttiva e di salvaguardia del perimetro occupazionale». Il provvedimento anti-delocalizzazioni, che il governo sta mettendo a punto dopo i casi Whirlpool, Gkn, Gianetti Ruote e Timken, sarà caratterizzato da misure che richiamano alla responsabilità sociale delle imprese per mettere un argine ai trasferimenti all'estero, evitare licenziamenti via WhatsApp e vincolare coloro che hanno usufruito di contributi statali. Alle aziende verrebbe chiesto di comunicare ogni scelta in maniera preventiva alle istituzioni, aprire tavoli di confronto, utilizzare gli ammortizzatori sociali, redigere un piano di reindustrializzazione e riqualificazione, esplorare soluzioni alternative all'eventuale cessazione dell'attività. Sono, infine, previste sanzioni per chi viola la nuova procedura e la restituzione degli eventuali incentivi pubblici.

Questo orientamento può essere interpretato alla luce della bozza di riforma degli ammortizzatori sociali. L'intendimento, infatti, è mettere a disposizione anche delle micro-imprese la cassa integrazione finanziandola sia tramite contributi pubblici (almeno inizialmente) sia rimodulando le aliquote per e aziende medio-grandi. In questo modo tutte le imprese nelle fasi di crisi avrebbero a disposizione uno strumento per prolungare la cosiddetta «continuità di rapporto di lavoro». Allo stesso modo, sempre le imprese dovranno contribuire alla Gol, la «garanzia di occupabilità dei lavoratori», ossia i percorsi formativi per gli autonomi che chiudono la partita Iva e per i dipendenti di imprese che si trovano in una fase di «transizione», ossia una delocalizzazione o un passaggio ad altro tipo di produzione. Al di là del fatto che la Gol farà capo alle Regioni e che non si sa di che tipo saranno i corsi formativi, è già possibile interrogarsi su questo nuovo sistema degli ammortizzatori.

Il tema è stato affrontato dall'economista Claudio Negro nell'ultimo numero di Mercato del lavoro News nel quale ha sottolineato come, a parte i casi di «squilibrio patrimoniale o economico-finanziario che renda probabile la crisi o l'insolvenza», le aziende sono invogliate a utilizzare tutta la cassa integrazione disponibile e a predisporre un «piano di mitigazione delle ricadute occupazionali ed economiche connesse alla chiusura». Quindi, osserva Negro, «la politica attiva di ricollocamento del personale licenziato non sarebbe di competenza dello Stato ma dell'impresa», un orientamento che sottende «un'idea non professata ma evidente, che cioè le politiche industriali debbano essere al servizio dell'occupazione». Molta meno cura è posta sulle «caratteristiche almeno generali di quello che dovrebbe essere il sistema per l'occupabilità e la rioccupazione».

Come aveva dichiarato al Giornale l'esperto di politiche del lavoro, Giuliano Cazzola, l'obiettivo è «allontanare i licenziamenti rendendo la cigs un percorso quasi obbligatorio». Per il premier Draghi e il ministro dell'Economia Franco, riflettere è doveroso.

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