La doppia partita della Lega va in scena in una Camera affollata. La prima, dal risultato scontato, si gioca in Aula, dove la maggioranza respinge la mozione di sfiducia delle opposizioni a Matteo Salvini. La seconda, invece, resta relegata dietro le quinte della commissione Affari costituzionali, dove la giornata è dedicata alle audizioni sul ddl sull'Autonomia differenziata tanto caro al Carroccio. Sfilano i governatori Luca Zaia (Veneto) e Marco Marsilio (Abruzzo) e il presidente della provincia autonoma di Bolzano Arno Kompatscher. Il primo, leghista, è un fervente sostenitore della riforma che - dice - è «una grande occasione per il Paese» e «disegnerà quasi un nuovo rinascimento». È, aggiunge, una «sfida di modernità» e «spero il provvedimento vada presto in Aula». Il secondo, esponente di Fdi di lungo corso, è più cauto e auspica che il percorso dell'autonomia differenziata sia accompagnato da «investimenti sulla perequazione infrastrutturale» per «cucire un Paese» che è spaccato a metà. D'altra parte, che tra Lega e Fratelli d'Italia ci siano sensibilità diverse in proposito non è certo un mistero. Come non lo sono le perplessità di Forza Italia, preoccupata dai contraccolpi di una riforma che non piace al Sud, dove il partito di Antonio Tajani ha un bacino elettorale importante. E sul punto, i governatori azzurri Roberto Occhiuto (Calabria), Renato Schifani (Sicilia) e Vito Bardi (Basilicata) hanno più volte manifestato i loro timori. Tutte ragioni per cui la partita dell'autonomia differenziata sta procedendo in una logica a pacchetto che tiene insieme il premierato (caro a Fdi) e la riforma della giustizia con annessa separazione delle carriere (Forza Italia).
Giorgia Meloni e Salvini, però, spingono per arrivare alle Europee dell'8 e 9 giugno avendo in dote per lo sprint della campagna elettorale le loro riforme: il ddl sull'Autonomia approvato in via definitiva alla Camera e il premierato in prima lettura al Senato. Questo almeno spiega il ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli. Ieri, intercettato in Transatlantico, lui che è senatore si è limitato a derubricare la sua presenza alla Camera come un «segno di sostegno a Matteo». In verità, Calderoli era a Montecitorio anche e soprattutto per i lavori degli Affari costituzionali. A margine dei quali ha incontrato il presidente della Commissione, l'azzurro Nazario Pagano, e tutti i capigruppo di maggioranza. Spiegando ai presenti che «c'è un accordo politico tra Meloni e Salvini per accelerare sull'autonomia e andare in Aula il 29 aprile». Data per la quale il provvedimento è in verità già calendarizzato, ma che tutti davano per scontato sarebbe stata posticipata. I tempi sono infatti strettissimi, tanto che questa mattina l'ufficio di presidenza della Commissione si riunirà per ridisegnare il calendario dei lavori e provare a mettere il turbo (discussione generale il 12 aprile, emendamenti entro 24, poi mandato al relatore e Aula il 29). Con buona pace dei trenta deputati degli Affari costituzionali che nelle prossime settimane rischiano di essere convocati dal lunedì al venerdì.
Uno sprint simile, peraltro, è in corso da qualche giorno nella omologa commissione del Senato, dove è invece all'esame il ddl sul premierato. A conferma che le due partite si muovono in parallelo. Dopo settimane a rilento, infatti, tra martedì e mercoledì gli Affari costituzionali di Palazzo Madama si sono riuniti due volte, con sedute fiume da quattro e otto ore (e oggi si replica).
E con il presidente della Commissione, Alberto Balboni (Fdi), che ieri sera in ufficio di presidenza ha provato ad accelerare per chiudere già la prossima settimana, così da andare in Aula entro fine mese. Con un percorso, dunque, esattamente speculare a quello del ddl sull'autonomia alla Camera.
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