Rispettiamo la porta chiusa dei pm, oberati e senza segretaria

Illustre direttore, l'articolo "Se il pm chiude la sua porta perde soltanto la giustizia", pubblicato sulle pagine milanesi de Il Giornale di ieri 4 aprile 2023 a firma Luca Fazzo, mi suscita alcuni spunti di riflessione

Rispettiamo la porta chiusa dei pm, oberati e senza segretaria

Illustre direttore,

l'articolo «Se il pm chiude la sua porta perde soltanto la giustizia», pubblicato sulle pagine milanesi de Il Giornale di ieri 4 aprile 2023 a firma Luca Fazzo, mi suscita alcuni spunti di riflessione. La notizia: alla Procura di Milano un pm ha affisso sulla porta dell'ufficio un cartello in cui annuncia che non riceverà avvocati senza previo appuntamento e, in aggiunta, elenca i casi nei quali «la richiesta di colloquio non sarà accolta». Il cartello chiude: «Si invita a considerare che il numero di fascicoli attribuiti a questo specifico ufficio e la numerosità e la gravosità dei servizi mensilmente assegnati al magistrato impone di adottare misure limitative relativamente ai colloqui con i difensori. Si confida nella comprensione di tutti». L'informazione è completa e condivido la conclusione del titolo: «...perde solo la giustizia».

Evito l'appello, tanto ovvio quanto superfluo, ai buoni sentimenti sulla toga che unisce magistrati e avvocati, e vado più piatto sul concreto. Nella fase delle indagini «il povero pm è solo» perché non è assistito nella ricerca della verità dal contraddittorio con la difesa, che non è a conoscenza degli atti di indagine. Il pm che svolga professionalmente il suo ruolo in questa fase deve anche assumere la parte di «avvocato del diavolo». Non è solo la ricerca di elementi di prova a favore dell'indagato, ma ancor prima il confrontarsi intellettualmente in ogni momento con gli elementi che potenzialmente contrastano la tesi accusatoria, per confutarli o, all'opposto, per accoglierli e chiedere l'archiviazione. Il confronto informale con la difesa, nella fase ancora segreta dell'indagine, è un esercizio delicatissimo, ma è un esercizio doveroso e utilissimo al fine superiore di giustizia.

Ma torniamo al cartello che pone limiti al colloquio degli avvocati con il pm. Chi ha bisogno di un avvocato, per una questione civile o penale, telefona allo studio che ha individuato, si sente rispondere da un centralino che lo indirizza alla segreteria di un avvocato e solo dopo questi due passaggi potrà parlare direttamente con l'avvocato o, più frequentemente, si sarà solo visto comunicare la data per un appuntamento. La carenza del personale amministrativo comporta che oggi i singoli pm non hanno un'unità di segreteria a loro esclusivamente addetta. Il pm deve rispondere personalmente al telefono, gestire mail e appuntamenti, oltre, ovviamente, ai fascicoli delle indagini. Innovazioni di segno garantistico, spesso (non tutte) sacrosante e talune da lungo tempo auspicate dagli stessi pm (penso all'autorizzazione del Gip per l'acquisizione dei tabulati telefonici) comportano ulteriori adempimenti. La excusatio finale del pm è l'espressione di un «grido di dolore» di quel pm.

Molto correttamente il cronista ha evitato di riportarne il nome: io lo conosco e posso attestare che si tratta di magistrato di lunga esperienza, di comprovata professionalità e di grandissima dedizione al lavoro. Con altrettanta nettezza occorre dire che non è condivisibile neppure l'elencazione dei casi nei quali la richiesta di colloquio «non sarà accolta»: all'opposto, la mia lunga esperienza mi indica che in quei casi il colloquio informale tra pm e difesa è estremamente utile per «far giustizia».

A mo' di conclusione: adoperiamoci tutti perché le condizioni di lavoro dei magistrati non siano così

stressanti da provocare impropri «gridi di dolore» e ci si muova piuttosto in un rapporto costruttivo tra magistratura e avvocatura nel superiore interesse della giustizia.

Edmondo Bruti Liberati
ex procuratore di Milano

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