Chiudete gli occhi e cercate di ricordare se qualche leader politico ha pronunciato di recente la parola «partitocrazia». Un termine lontano, quasi desueto, che richiama le grandi battaglie referendarie di Pannella, l'avvento dal nulla del «barbaro» Bossi, il Fini missino che vedeva un futuro governativo per la destra ghettizzata.
Tra le preoccupazioni degli italiani negli ultimi anni non c'è più stato quello strapotere dei partiti che opprimeva tutte le attività pubbliche con una logica lottizzatrice inesorabile.
Stupisce che in questa fase emergenziale, con quasi tutte le forze politiche al governo, gli elettori tornino a rivalutare sigle che negli ultimi anni avevano allentato la loro presa sulla società civile. Un sondaggio Swg rivela che il 56% degli interpellati ritiene che i partiti «nel bene e nel male» svolgono «una funzione molto importante per il Paese». E che il 43% (maggioranza relativa) sogna un sistema non soltanto bipolare, ma addirittura con due soli grandi partiti come negli Usa.
Nella vita di tutti non c'è nulla di più nuovo delle esperienze passate, riscoperte ciclicamente con un significato positivo. Nella testa degli italiani si ritorna così al 2008, l'anno della grande sfida alle urne tra il blocco vincente di centrodestra (Popolo delle libertà, Lega Nord e Mpa) e il cartello di centrosinistra formato da Pd e Italia dei Valori. Berlusconi contro Veltroni, tutto molto semplice. Bastava un voto più del rivale per diventare presidente del Consiglio. L'involontaria nostalgia per la semplificazione del quadro politico coincide -non è un caso- con le ultime Politiche che indicarono il capo del governo. Dal 2011 tra i tecnici di Monti, le larghe intese di Letta, i fragili tentativi di Renzi e Gentiloni, i due strani gabinetti Conte e infine l'ombrello di Draghi, hanno prevalso formule di necessità per la mancanza di maggioranze nette.
Il ritrovato clima favorevole verso i partiti è senz'altro segno di maturità collettiva e riconoscimento di un ruolo insostituibile. Anche il tentativo nel centrodestra di favorire contenitori rispetto a singole bandiere va nella direzione di un sentimento popolare che costringerà anche il centrosinistra a ridurre la frammentazione. Resta purtroppo sotto gli occhi l'esempio disonorevole dell'attuale Parlamento che in poco più di tre anni ha registrato 259 cambi di casacca.
Meno partiti, meno gruppi, meno possibilità per i parlamentari di negoziare migliori condizioni personali di giorno in giorno. Alla fine, più che le formule aritmetiche, faranno sempre la differenza i comportamenti degli uomini e donne scelti dall'elettorato. I partiti facciano subito tesoro di questa inaspettata apertura di credito.
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