Memorandum sulla consegna delle nuove motovedette ai libici per la lotta all'immigrazione illegale e mega accordo sul gas off shore di 8 miliardi di dollari. L'Italia torna alla grande in Libia dopo il buco nero del governo Draghi. Giorgia Meloni vola oggi a Tripoli e con lei il ministro degli Esteri, Antonio Tajani e il responsabile del Viminale, Matteo Piantedosi. Una visita di così alto livello è un tassello chiave di Giorgia l'africana nel solco del nuovo piano Mattei, che punta all'altra sponda del Mediterraneo. Gli obiettivi di fondo sono la lotta all'immigrazione clandestina, accordi energetici e per la Libia uno sforzo verso la stabilità attraverso il non facile processo elettorale. Oltre al segnale ai turchi che sono abituati a farla da padroni a Tripoli.
La presenza del presidente del Consiglio non era prevista all'inizio, ma Palazzo Chigi ha voluto rimarcare il ritorno dell'Italia in Libia calando l'asso del tridente governativo al massimo livello. Il dossier più delicato riguarda i migranti: oltre la metà dei 100mila sbarcati in Italia sono partiti dalla Libia. A Tripoli verrà firmato un memorandum per la consegna di nuove motovedette ai libici pagate con i fondi dell'Unione europea. A breve arriverà la prima della nuova classe 300, ma ne sono previste tre in tutto. Altre due sono vecchie unità rimesse in sesto. «L'accordo lega l'utilizzo al rispetto dei diritti umani e punta a disincentivare il più possibile le partenze» spiega una fonte diplomatica. La tanto vituperata Guardia costiera libica ha intercettato 24.684 migranti nel 2022 secondo l'Organizzazione internazionale per le migrazioni. E dal primo gennaio le persone imbarcate dai trafficanti e riportate a terra sono già 1.103.
Non basta, però, continuare ad appoggiare la Guardia costiera libica. «Si attendeva da tempo il ritorno dell'Italia a Tripoli, ma l'importante è che non sia un mordi e fuggi» fa notare una fonte del Giornale nella capitale. L'idea di hotspot sul posto per selezionare i migranti che hanno diritto a venire in Italia non piace ai libici. Al contrario c'è bisogno di incrementare i rimpatri, che già avvengono, fra alti e bassi, attraverso la costola dell'Onu per le migrazioni.
Meloni è attesa a Tripoli dal premier Abdulhamid Dabaiba, ma nelle poche ore della visita sono previsti incontri fra la delegazione italiana e il capo del Consiglio di presidenza, Mohamed Menfi, il ministro dell'Interno Imad Trabelsi e la responsabile degli Esteri, Najla el Mangoush.
Unico neo la mancata tappa a Bengasi, capoluogo della Cirenaica feudo di Khalifa Haftar. La visita era prevista, ma all'ultimo momento è saltata per l'indisponibilità del generale, forse per motivi di salute. Il figlio e altri stretti collaboratori hanno gettato acqua sul fuoco facendo sapere che l'annullamento non dipende da motivi politici. Meloni, che può contare sull'esperienza libica del capo dei servizi segreti (Aise), generale Giovanni Caravelli, sa bene che non bisogna snobbare Haftar, che controlla metà del paese. Ed è pericolosamente spalleggiato dalle baionette russe della Wagner. Il premier auto nominato dell'Est, l'ex ministro dell'Interno Fathi Bashagha, appoggiato senza grande convinzione dal generale, si è detto «sorpreso» della visita di Meloni a Tripoli «ad un governo scaduto». In realtà è proprio Bashagha in difficoltà e non convince più neppure l'Egitto che sostiene Haftar.
Il fiore all'occhiello della visita è la firma di un accordo tra l'Eni e la libica Noc per un investimento da 8 miliardi di dollari per due giacimenti di gas naturale. Un forziere energetico off shore davanti a Zwuara, in Tripolitania, ma con possibilità di espandersi fino al Golfo della Sirte, vero Eldorado sottomarino del gas. Il nuovo capo della Noc, l'azienda di stato libica, è Farhat Bengdara, uomo di Haftar nominato in accordo con il premier di Tripoli. Un buon segnale per ricomporre la frattura del paese.
Il piano Mattei libico di Meloni punta, come nella prima tappa ad Algeri, a sganciare del tutto l'Italia dalla dipendenza dalla Russia favorendo investimenti nei paesi del Nord Africa che dovrebbero beneficiarne in termini economici e di stabilità.La sfida da far tremare i polsi è proprio aiutare la Libia ad uscire dal tunnel provocato dalla caduta di Gheddafi.
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