Darya Dugina, la figlia del filosofo nazionalista russo Aleksandr Dugin finito nella nuova blacklist dei «sanzionati» dalla Ue, sarebbe stata uccisa da infiltrati ucraini nell'attentato di agosto alle porte di Mosca. Lo hanno svelato funzionari dei servizi segreti statunitensi al New York Times, dicendosi convinti che dietro l'attentato ci siano pezzi del governo ucraino.
Vittorio Emanuele Parsi, Professore di Relazioni Internazionali all'Università Cattolica di Milano, perché questa rivelazione in piena controffensiva ucraina? Gli Stati Uniti corrono a dissociarsi dall'attentato? Lanciano un messaggio agli ucraini: non esagerate e non fate di testa vostra?
«Puntualizzano più che altro che l'attentato a Dugina è un'azione che non hanno autorizzato, per non fornire pretesti ai russi, perché Mosca non dica che gli Usa sono coinvolti in attacchi a esponenti civili».
L'obiettivo era probabilmente il padre di Dugina, l'ultranazionalista Dugin. Lei pensa che il presidente ucraino Zelensky possa essere coinvolto nell'attentato?
«Bisognerebbe capire se si è trattato di un'operazione dei servizi segreti e a che livello è stata decisa. In ogni caso, omicidi mirati di personalità responsabili di aggressione di altri Stati sono prassi consolidate. Gli israeliani ne hanno compiuti diversi, è successo con personalità iraniane, con esponenti dei Pasdaran in Irak.
Le fonti dei servizi segreti americani chiariscono che l'amministrazione Biden non era stata avvisata, non ha preso parte all'attentato, non ha fornito informazioni né assistenza.
«Non mi stupisce. L'amministrazione ucraina non è un pupazzo degli Stati Uniti. Combatte la guerra con gli strumenti che ritiene opportuni. E anche le informazioni di intelligence non vengono tutte condivise. Anche gli Stati Uniti non forniscono qualunque informazione a Kiev. Succedeva lo stesso nella II Guerra Mondiale tra inglesi e americani».
Gli americani hanno temuto che l'attentato spingesse Mosca, per reazione, a ordinare l'eliminazione di personaggi di spicco in Ucraina. C'è il rischio che azioni di questo genere forniscano un pretesto all'escalation russa?
«I russi hanno già eliminato tutti i funzionari che hanno potuto in Ucraina, durante l'occupazione dei territori a est. Se avessero messo le mani su Zelensky, l'avrebbero ammazzato. Non dimentichiamo mai che sono loro gli aggressori e gli ucraini gli aggrediti».
Mosca ha definito «un segnale positivo» che l'intelligence americana abbia riconosciuto il coinvolgimento di Kiev nell'attentato. Spiragli di dialogo?
«Non credo, a meno che Mosca non voglia trattare. E la Russia non vuole, non intende rispettare condizioni minime: il ritiro dall'Ucraina, il riconoscimento dell'aggressione e il risarcimento dei danni».
Putin minaccia la guerra mondiale e nucleare solo per spaventare?
«Non siamo nella sua testa, che è quella di una persona con una bassissima etica e priva di senso della realtà. Siamo al solito circo di informazione e controinformazione. È il solito gioco: ti minaccio ma dico che non lo faccio. E a riprova di ciò, la presidente del Consiglio della Federazione Russa, Valentina Matvienko, ha appena detto che Mosca non ha mai minacciato nessuno con armi nucleari. Gli obiettivi finali di questa strategia orchestrata dai vertici russi sono l'opinione pubblica occidentale e tutti i megafoni del Cremlino».
C'è il rischio che Putin possa diventare ancora più pericoloso se messo nell'angolo?
«Sarà ancora più pericoloso, se non lo mettiamo nell'angolo. Se si porterà via quello che vuole, avrà vinto, e sarà un pericolo maggiore.
Se perderà, certo, tenterà colpi di coda. Ma i russi si stanno arrendendo a frotte. Putin ne ha arruolati 500mila, ne sono scappati 1 milione. Il conflitto va a rotoli per la Russia. E il rifiuto di combattere è un segnale di inefficienza della leadership».
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