Scelsero l’arancione perché era il colore della rivoluzione in Ucraina. A loro volta agli ucraini scesi in piazza nel novembre del 2004 per contestare la vittoria elettorale di Viktor Janukovyč contro lo sfidante Viktor Juščenko. I sostenitori dello sconfitto denunciavano brogli elettorali e scelsero l’arancione perché gli ricordava il colore degli ippocastani e delle foglie d’autunno che coloravano le strade principali della capitale Kiev. Le elezioni furono ripetute e le vinse Juščenko. La rivoluzione arancione dopo un anno era già bella che finita, per dissidi interni. L’8 settembre 2005 la pasionaria arancione Julija Tymošenko (famosa per il suo look con le treccine) si dimise e tanti saluti al governo del popolo.
Ma siccome in Italia tutto arriva dopo e tutto dura molto più a lungo, ecco che l’arancione diventa di moda anche da noi. Inizialmente grazie alle sciagurate primarie del Partito democratico guidato allora da Pierluigi Bersani. Nel 2011 si vota a Milano e a Napoli, nel 2012 a Genova e a Palermo.
Quel che accade sotto la Madonnina è sempre importante perché spesso anticipa gli umori del resto d’Italia. Alle primarie il Pd schiera un’archistar del calibro di Stefano Boeri, mentre la sinistra antagonista mette in campo l’avvocato Giuliano Pisapia, tipico rappresentante della sinistra meneghina, popolare nelle intenzioni, molto borghese nella pratica quotidiana. Boeri non scalda gli elettori e va incontro ad una clamorosa sconfitta. E l’ex avvocato di “Soccorso Rosso Militante” diventa sindaco di Milano superando Letizia Moratti che nel frattempo ha perso 55mila voti tra la sua precedente vittoria del 2006 e la clamorosa sconfitta del 2011.
Se Milano piange, Napoli non ride. La metropoli del Sud, uscita in ginocchio da 10 anni di giunte di Rosa Russo Jervolino (sindaco dal 2001 al 2011) assiste a un capolavoro del Pd: il suicidio politico. I due sfidanti vittoriosi alle primarie, il bassoliniano Andrea Cozzolino e il “migliorista” Umberto Ranieri, si accusano a vicenda di brogli, di cinesi in fila ai seggi del Pd per votare e così via (più o meno lo stesso caos visto di recente con la designazione di Valeria Valente a candidata del partitone di sinistra). Il segretario Bersani annulla tutto e pesca dal mazzo la carta del prefetto Mario Morcone, persona perbene ma sconosciuta ai più. Infatti le elezioni lasciano fuori il Pd dal ballottaggio per poi premiare al secondo turno l’ex magistrato Luigi De Magistris reduce dalle trame (e dalle luci della ribalta) dell’inchiesta giudiziaria “Why not”. Il giudice, gettata la toga, festeggia la vittoria davanti al Comune con la bandiera in testa a mo’ di bandana.
A Palermo non c’è partita: il Pd punta sul giovane Fabrizio Ferrandelli, ma il capoluogo siciliano lasciato nel disastro dalla giunta di centrodestra si affida all’usato garantito. E Leoluca Orlando stravince, colorando anche lui d’arancione le sue posizioni di sinistra giustizialista. Anche a Genova il Pd non vuol farsi mancare nulla: tra le due litiganti Marta Vincenzi e Roberta Pinotti, gode il terzo, l’outsider Marco Doria, di famiglia nobile e quindi del marchesato del partito comunista. Suo grande sponsor il prete di popolo don Andrea Gallo.
Altro elemento fu la campagna per i referendum che si svolsero nel giugno del 2011, che riguardavano i servizi idrici (diventati “acqua pubblica”), il nucleare, il legittimo impedimento. Parole che mobilitarono un popolo diffuso fuori e spesso contro il Pd. Molti votarono alle comunali 2011 e 2012 con lo stesso spirito con cui si erano mobilitati per quei referendum. Infatti De Magistris da sindaco di Napoli lanciò una campagna per l’acqua con la nascita di ABC (Acqua Bene Comune), una società pubblica.
L’ultimo elemento fu un centrodestra indebolito dalla defezione di Gianfranco Fini e dei suoi, che avevano fondato Futuro e Libertà il 13 febbraio 2011. Il premier Silvio Berlusconi da dicembre 2010 era sotto tiro per il Ruby-Gate, lo scandalo sessuale legato a Karima El Mahroug, al secolo Ruby Rubacuori. Ma soprattutto il suo esecutivo non riusciva a trovare risposte convincenti a una crisi economica i cui effetti devastanti erano già visibili sull’economia italiana. Il “muro contro muro” del ventennio berlusconiano (o di qua, o di là) impedì alla classe di governo dell’epoca di veder emergere un sentimento di rabbia dei cittadini che sarebbe poi culminato il 12 novembre 2011 con diverse migliaia di persone in festa davanti al Quirinale per le dimissioni del Cavaliere. Il centrodestra non seppe andare al di là delle felicitazioni per le divisioni a sinistra; in realtà era nato un nuovo elettorato d’opinione.
Oggi, a cinque anni di distanza, cosa resta della rivoluzione arancione? A Milano Pisapia non si è ricandidato, forse percependo che la sua amministrazione ha deluso le grandi aspettative che i suoi elettori riponevano. I principali progetti a Milano, tipo Expo e Metro 5, sono ascrivibili alla giunta Moratti, e di nuovi non se ne vedono all’orizzonte. A Genova Doria si è fatto notare soprattutto per l’assenza in alcuni momenti cruciali tipo l’alluvione del 9 e 10 ottobre 2014, un disastro da 250 milioni di euro e un morto. Di quei giorni il corteo capeggiato dai cantanti Francesco Baccini e Cristiano De Andrè con una sola parola per il “loro” sindaco: vattene!
A Napoli De Magistris rilancia la città “de-renzizzata” e grida dal palco che il presidente del Consiglio deve “ca..rsi sotto” prima di tornare dalle parti del Vesuvio. Populismo a parte, non sembra che a Napoli le cose vadano granchè bene. Bagnoli resta un’area abbandonata a se stessa (lo scheletro della Città della Scienza è l’emblema dei fiumi di parole sull’area), Napoli Est un luogo di buone intenzioni e capannoni abbandonati, il centro fermo alla splendida immagine del lungomare pedonalizzato di via Caracciolo, ma con un’incuria diffusa in diverse parti del centro urbano.
Alla fine, stringi stringi, della rivoluzione arancione resta l’immagine del cantautore
Roberto Vecchioni che canta O’ surdato nnammurato in piazza Duomo a Milano in un ideale “gemellaggio arancione” con Napoli. Esibizione emozionante e bellissima canzone, certo. Ma un po’ poco per una rivoluzione…- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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