N el 1973 l'ambasciata italiana a Santiago del Cile aprì i cancelli ai rifugiati durante il colpo di Stato di Pinochet. Le immagini della nostra e delle altre ambasciate che ospitavano centinaia di persone che correvano il rischio di essere uccise o imprigionate fecero il giro del mondo. Le democrazie fecero una bella figura. Oggi le ambasciate (peraltro vuote) a Kabul sono assediate da madri con bambini in braccio e le immagini mostrano la disperazione di un popolo terrorizzato. Alcuni afgani disperati sono riusciti ad aggrapparsi alle ali degli aerei e sono poi precipitati da cinquemila metri: le immagini di quei puntini che precipitano sono identiche a quelle dei newyorchesi che si gettarono dalle Tween Towers in fiamme.
Vediamo corpi che si gettano nel vuoto, madri che lanciano i figli oltre il filo spinato. E noi? I nostri soldati hanno non soltanto combattuto in quel Paese occupato da narcotrafficanti travestiti da santoni religiosi, ma hanno anche aiutato le madri, i bambini, i vecchi. Forse non avremo esportato la democrazia, ma abbiamo comunque fatto assaggiare il frutto proibito della libertà e del diritto al rispetto. Oggi la gente è pronta di nuovo a morire pur di non essere rispedita all'inferno da cui li avevamo sottratti.
Che fare? Ricordiamo il Cile: aprire i cancelli della nostra e delle altre ambasciate e ospitare quante più donne e bambini sia possibile. L'abbiamo già fatto, possiamo rifarlo. È pericoloso ma generoso, e comunque all'altezza del nome che l'Italia oggi ha conquistato di fronte alla comunità internazionale.
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