Vuole un'«Italia giusta», Sergio Mattarella e nel suo discorso d'insediamento la seconda volta come capo dello Stato dice chiaramente che ancora non c'è. Il perché? La giustizia «per troppo tempo è divenuta un terreno di scontro» e sono prevalse «logiche di appartenenza che, per dettato costituzionale, devono rimanere estranee all'Ordine giudiziario».
Logiche politiche e correntizie, logiche spartitorie e di puro potere, confermate dai troppi scandali, quello Palamara in testa, che hanno dilaniato negli ultimi anni questo mondo. Non solo ai parlamentari, ma ad un ordine giudiziario allo sfascio parla il presidente della Repubblica, come tale anche al vertice del Csm. In questa veste per 7 anni ha vissuto la profonda crisi della giustizia, chiedendo interventi fino all'ultimo appuntamento di gennaio. Ora dedica a questo tema un capitolo cardine del suo discorso e i passaggi più duri, salutati da 2 lunghi applausi nell'aula di Montecitorio. Avverte: «È indispensabile che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento». Sono moniti, perché non tocca a lui «indicare percorsi riformatori da seguire», come spiega. Ma pungolare politici e operatori della giustizia si.
L'intervento del presidente mette al centro le esigenze dei cittadini, alle quali la giustizia deve rispondere, abbandonando ogni autoreferenzialità e recuperando «un profondo rigore». Alle toghe Mattarella ricorda che i principi costituzionali di indipendenza ed autonomia della magistratura, pur «irrinunziabili», sono parole vuote se si dimentica che «il loro presidio risiede nella coscienza dei cittadini: questo sentimento è fortemente indebolito e va ritrovato con urgenza. I cittadini devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l'Ordine giudiziario. Neppure devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie o imprevedibili che, in contrasto con la doverosa certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone».
La sfiducia nella giustizia degli italiani, sottolinea il capo dello Stato, si spiega con la lentezza dei processi, gli errori giudiziari, i teoremi ideologici, le inchieste politicamente orientate, il protagonismo di giudici e pm star, le lotte interne alle correnti, la spartizione delle nomine per giochi di potere, invece di valorizzare «le indiscusse alte professionalità su cui la magistratura può contare». Tutto questo, per troppo tempo, ha fatto «perdere di vista gli interessi della collettività» e adesso i cittadini, giustamente, esigono «efficienza e credibilità», vogliono «un Paese dove le carceri non siano sovraffollate e assicurino il reinserimento sociale dei detenuti».
Parole sferzanti, un atto d'accusa che ricorda ai magistrati la «grande responsabilità» che hanno e li richiama, con gli avvocati, «ad assicurare che il processo riformatore si realizzi, facendo recuperare appieno prestigio e credibilità alla funzione giustizia, allineandola agli standard europei». Basta quindi, sembra dire anche all'Anm, a stop e obiezioni strumentali alle riforme. Il sindacato delle toghe risponde subito all'appello, ma il presidente Giuseppe Santalucia dimentica le resistenze e dice che «già» i magistrati sono pronti a rispondere ai «moniti» del presidente, per «proseguirne l'attuazione in condivisione piena della centralità della Costituzione, che deve essere il faro e l'orientamento sia per i magistrati nell'esercizio quotidiano del rendere giustizia che del legislatore nel dare rapido corso alle necessarie riforme».
Quasi un avvertimento a governo e Parlamento, cui Mattarella si appella perché senza altri «ritardi e incertezze» varino riforme, da cui «dipende la qualità della democrazia».
In mattinata il premier Draghi ha incontrato il ministro della Giustizia Marta Cartabia: al centro del dialogo la riforma del Csm che dovrebbe approdare in Cdm settimana prossima. Ma il nuovo sistema elettorale per arginare lo strapotere delle correnti, con sorteggio e maggioritario non piacciono a molti nell'Anm e nel Csm, anche i partiti non si mettono d'accordo e il tempo scorre.
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