«La Russia di oggi è una dittatura». Achille Occhetto, ultimo segretario del Partito Comunista Italiano, non usa mezzi termini per fotografare quello che sta succedendo in Ucraina.
La sinistra, da Landini a Rifondazione, è scesa in piazza in nome del pacifismo?
«Oggi è sacrosanto manifestare per la pace. Ritengo che la vera parola d'ordine debba essere: sì alla pace e no a Putin».
La guerra in Ucraina, però, continua. Andrà ancora a lungo?
«Difficile fare previsioni. Il problema è che se non c'è un qualcosa, che non so nemmeno immaginare, che la ferma potrebbe diventare uno di quei momenti di impantanamento che durano poi in forme diverse, da quelle che conosciamo adesso, per lungo tempo».
Bastano le sanzioni o bisogna pensare a un attacco militare da parte dell'Europa?
«Escludo, nel modo più assoluto, un attacco militare per un motivo semplice: nessuno può volere, se è una persona responsabile, una guerra mondiale. Ritengo, al contrario, che bisogna fare di tutto, con grande fermezza, ma con un obiettivo: non arrivare alla terza guerra mondiale. È opportuno utilizzare tutti i mezzi possibili a disposizione della diplomazia».
Addirittura si è arrivati a pensare di tagliare Dostoevskij dai libri di scuola.
«È una cosa del tutto orrenda e grottesca. Dostoevskij è un grande scrittore dell'umanità, oltre a essere un eccelso autore russo. Penso tutto il male possibile rispetto a tale scelta».
Dopo questa crisi, chi ritiene uscirà rafforzato?
«Potrebbe nascere un nuovo asse tra Russia e Cina. Dipende dalla politica che riuscirà a fare l'Europa. Se quest'ultima sarà in grado di riaprire un canale di discussione, in cui sarà lei a intervenire in un'eventuale trattativa, che non so ancora vedere quale possa essere, il legame sarà indebolito. Se non riesce, invece, una Russia molto indebolita, perché è del tutto evidente che Putin ne uscirà male da questa guerra, troverà scampo sotto le ali della Cina, tra l'altro con una posizione di subalternità».
Quali saranno le forze politiche che potranno beneficiare del particolare momento storico?
«È un momento in cui nessuno di noi deve pensare a chi ne beneficia di più. Non lo dico in modo retorico. Spero, al contrario, che tutti possiamo beneficiare del fatto che si eviti una catastrofe gravissima per l'umanità».
«Perché non basta dirsi democratici». Il titolo del suo libro, alla luce della crisi in Ucraina, può considerarsi attuale?
«Il titolo del libro si riferisce a un tema di fondo, tuttora valido, secondo cui se in una democrazia la libertà non coincide con l'uguaglianza di tutti gli esseri umani allora non basta più dirsi democratici. Questa visione non vuol dire indebolire la difesa della democrazia, ma renderla più efficace nella lotta contro tutte le dittature».
La riflessione potrebbe valere anche per la Russia di Putin?
«La Russia di oggi non è una democrazia criticabile. È una dittatura.
Putin è il dittatore di un paese ormai capitalista che del passato in realtà ha mantenuto la visione staliniana della divisione del mondo, delle sfere di influenza, della politica di potenza e dei metodi repressivi che ha imparato nel Kgb».
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